Josh T. Pearson + Joanna Newsom, Teatro Comunale, Ferrara, 27 luglio 2011

Non si sa se siano state le note meditabonde di Josh T. Pearson oppure la sua barba adamitica ad inculcare il rispetto silenzioso del pubblico del Teatro Comunale di Ferrara, preso com’era a soffocare il più minimo colpo di tosse e a pendere dalle labbra dell’ex leader dei Lift to Experience, fatto sta che il chitarrista del Texas ha completamente rapito anche il sottoscritto, presente alla serata in veste dubitativa.
Josh T. Pearson è un menestrello semplice e allo stesso tempo con una propria cifra stilistica, con un modo speciale di accarezzare la chitarra e una voce che sa coprire lo spettro che va da Johnny Cash e Jeff Buckley, con una predilezione per i momenti fortemente intimistici, quasi scabrosamente intimi. E lo ha dimostrato, nella sua oretta di esibizione, quando ha finito con una cover di Boney M, “Rivers of Babylon” (!), fatta alla sua maniera: irriconoscibile, profonda, confidenziale. Quando l’ha accennata ha dovuto fermarsi e dire: “It’s not a joke”, ma subito dopo il pubblico in sala ha capito, e lo ha seguito. Già prima si era incamminata lungo i suoi percorsi stretti e difficili, classici perché creati su giri classici di folk-county ma ostici perché necessitanti un’attenzione particolare, una cura che si è disposti a dare solo al proprio cucciolo.
Un grande artista che per una volta è sentito come tale, e non si sa perché ad altri non sia riservata questa riverenza che si dà, appunto, solo agli eletti: Josh T. Pearson è considerato un messia, e giustamente, ma ho il dubbio che sia collocato tra i redentori musicali solo per via della lunghissima barba. E’ un dubbio stupido, lo so, ma è così.E mentre questo inutile tarlo mi rodeva il pensiero, Joanna Newsom iniziava a scorrazzare sulla sua arpa (e sul pianoforte), accompagnata da una violinista, un batterista e Ryan Francesconi, l’arrangiatore del suo ultimo disco “Have One on Me”, al banjo e talvolta, molto saltuariamente, alla chitarra elettrica. In realtà la band era solo un complemento non necessario, la star è Joanna ed è lei che dà i tempi, gli attacchi, che accellera o rallenta. Gli altri la seguono, e non potrebbe essere altrimenti di fronte a cotanto talento. Talento peraltro eccessivo, o meglio freddo: personalmente ho sempre ritenuto “Ys” frutto di un colossale e mondiale abbaglio (colpa, o merito, di Steve Albini, se non ci fosse stato lui non saremmo qui a parlare della ragazza californiana…) per cui avevo le aspettative, circa il live della Newsom, sotto le suole delle scarpe. In realtà la Newsom ci sa fare, e alla lunga riesce a far capire che il suo è solo blues trasfigurato per arpa, però lo fa in un modo troppo distaccato ed asettico. Un esempio? Il mettersi ad accordare l’arpa. Voi non ci crederete, ma l’ha fatto davvero. Un’operazione che porta via un cinque minuti, e cinque minuti a teatro sono un’eternità, con il povero Francesconi che è stato costretto a raccontarci della sua provenienza da Lucca (dei nonni) e di altre amenità del genere che si è ascoltato volentieri, ma di cui sinceramente non-poteva-fregà-de-meno. A mio sommesso parere, dimostrazione di un’artista che non capisce cosa è spettacolo ed empatia e pensa solo alla perfezione formale: nessuno si sarebbe accorto dei centesimi di semitono di scordatura dell’arpa e il concerto sarebbe proseguito sui binari della bella atmosfera creata, mentre invece si è bruscamente interrotto. In vero tutta l’esibizione della Newsom è stata caratterizzata da una bellezza asettica ed incalzante che ondeggiava tra un crescendo naturale e una rigidità di esibizione della cantante di Nevada City. Un concerto frustrante e soddisfacente al tempo stesso,  dimostrazione – siccome la musica è anche vita – che solo Josh T. Pearson poteva rimanere alla fine nell’atrio dell’ingresso del teatro a firmare autografi concedendosi tranquillamente come davanti ad un hamburger in Texas. Joanna non si è vista: probabilmente per presentarsi avrebbe avuto da verificare se il pennarello possedeva un flusso di inchiostro costante ed equilibrato.

Gabriele Spadini che guarda Josh T. Pearson come si guarderebbe Gesù Cristo, nell’atrio del Teatro di Ferrara, alla fine del concerto.

(Paolo Bardelli)

Le foto della serata opera di Gabriele Spadini

28 luglio 2011

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