Intervista a Max Collini (Offlaga Disco Pax)

In una Pisa costretta nella morsa del freddo, incontriamo Max Collini, sopravvissuto al ghiaccio sul Passo della Cisa e a fine soundcheck, comprensibilmente voglioso di andare a cena quindi, ma comunque disponibilissimo. In serata lo attende una folla che riempirà ben oltre la capienza il piccolo club che ci accoglie (il Circolo ARCI Caracol), dando vita ad una esibizione dai toni wave in un ambiente da concerto indie, quello vero degli Stati Uniti anni ottanta, con una abbondante metà del pubblico relegato all’esterno, ed all’interno una ressa degna di uno dei gruppi più importanti della attuale scena italiana. Un’altra data trionfale per l’originariamente limitato e minimalista tour elettronico a bassa risoluzione degli Offlaga Disco Pax. Con Max parliamo del nuovo progetto “Prototipo”, delle tastierine Casio, della politica italiana di ieri e di oggi, di musica e letteratura. Certo non di un Turati o un Nenni, o di qualche altro riformista del…

Max, innanzitutto come sta andando il Prototipo Tour? Mi pare che abbiate avuto buoni riscontri anche in locali prestigiosi come il Circolo degli Artisti a Roma.

Il tour volge al termine, siamo alla diciassettesima data. Pensavamo all’inizio ad una dozzina di date, che sono diventate venti: probabilmente c’era voglia di Offlaga, ed anche una proposta, almeno in origine, così minimalista ha avuto un notevole successo di pubblico, con un certo numero di sold out, sia in locali grandi che in club più piccoli. L’idea nasce da un concerto di questa estate a Modena, andato piuttosto bene, eseguito solamente con la strumentazione monocratica Casio, quindi un divertissement cui poi è seguito l’EP in cui rileggiamo in questa chiave alcuni nostri brani. Enrico e Daniele sono in grado di tirare fuori da questi strumenti più cose di quelle che uno si potrebbe aspettare, e il risultato finale è secondo me interessante, molto particolare.

Prima il trio d’archi, poi le tastierine…

Massimalismo e minimalismo.

Sì ma, la prima volta che personalmente vi ho visti suonare eravamo seduti su dei blocchi di paglia, non è che starete diventando un po’ snob?

Per esempio stasera suoniamo in un club molto carino, ma poco più grande del mio appartamento, quindi snob direi di no. Quella sera alla Festa dell’Unità di Livorno, cui fai riferimento, l’arena era in realtà piuttosto grande, poi abbiamo aggiunto i blocchi di fieno per sedersi. A Livorno però abbiamo suonato anche allo stadio prima dei Kraftwerk.

Avevo pensato di farti anche qualche domanda, molto generale, sulla politica. Partiamo dall’attualità: detto che ci teniamo Berlusconi, come vede la politica italiana una delle menti più lucide della sinistra italiana (ride)? Vendola, la crisi, il movimento degli studenti: qualcosa forse si muove.

Premesso che la mia fascinazione per la politica tende a scemare sempre di più, passando dal disincanto talvolta anche al disinteresse, che è sbagliato. C’è un po’ di movimento, credo fosse inevitabile visto che veniamo da tre anni di crisi economica molto dura. Sarebbe stato curioso che questo paese accettasse supinamente tutto questo. Non saprei dire però se il movimento coinvolga solo alcuni soggetti sociali più deboli, meno tutelati rispetto ai venti di crisi, studenti, lavoratori pubblici, metalmeccanici, oppure se si tratti di uno spostamento complessivo. Non sono un analista politico, non sono in grado di leggere il futuro, però quello che mi sembra di poter dire è che peggio di così è difficile, ma da questo punto di vista in Italia non sono mai mancate le sorprese. Si intravede il tramonto di un’epoca, ma non è dato sapere cosa ci sarà dopo.

Quando non si sa cosa ci riserva il futuro, di solito si torna a studiare i classici. In questo caso il PCI.

Quello lo conosco bene…

Volevo chiederti qualcosa di più specifico sul tuo percorso. In primo luogo: segretario preferito e perché?

Ovviamente Enrico Berlinguer, se non altro perché la sua figura è qualcosa con cui indirettamente ho interagito. Venne a chiudere una famosissima Festa dell’Unità a Reggio Emilia, quella in cui Benigni lo prese in braccio, ed ero già un adolescente, giovane militante della FGCI quando nel comizio di Padova ci lasciò. Inoltre Berlinguer rappresenta una figura di politico, al di là della mia adesione a certe posizioni, che oggi non esiste più: capacità dialettica, coscienza del proprio ruolo, comprensione profonda della politica (distacco da Mosca, pericolo di golpe in Italia). Da un certo punto di vista Nichi Vendola potrebbe essere oggi l’ultimo berlingueriano, ma io simpatizzo in generale per tutto ciò che si muove a sinistra, perché questa parola rischia di diventare una superstizione.

Ed in seguito? Quando hai rotto con la militanza attiva?

Non faccio più militanza attiva da quando non esiste più il PCI. Sono stato iscritto ed elettore, sempre piuttosto critico, di tutte le formazioni che sono ad esso seguite. Da quando è stato fondato il PD, avendo numerose perplessità su quel progetto, mi sono molto distaccato.

Chiusa parentesi, torniamo, più o meno, alla musica. Conosci James Murphy e gli Lcd Soundsystem?

Certo, anche se forse sarebbe più adatto Enrico a risponderti, siamo fan degli Lcd Soundsystem.

Ecco, Murphy è più o meno della tua generazione, ed in una recente intervista notava come, in particolare nel mondo della musica ma non solo, ormai da tempo così segnato da mode e produzioni commerciali imposte al pubblico (anche in ambienti indipendenti), qualche anno in più sia fondamentale per la elaborazione di un proprio gusto, stile, di una propria poetica insomma. La sua musica, ricca di influenze visibili ma ben digerite, ne è effettivamente un esempio. Ti riconosci in alcune di queste affermazioni?

La questione generazionale è molto importante, in particolare in Italia. Questo è un paese in cui un artista è considerato emergente a trent’anni, ed in generale si arriva a qualsiasi sbocco professionale molto in ritardo rispetto agli altri paesi europei. Siamo complessivamente in ritardo di dieci anni. Ed allora può accadere che uno a quarant’anni raggiunga i propri obiettivi, elabori la propria maturazione, ma è anche possibile che arrivi lungo, esausto. James Murphy ha fatto molta gavetta e forse ha avuto modo di trovare un proprio stile, ma qui è difficile anche farla la gavetta. Mancano i luoghi in cui suonare, mancano le etichette, è un paese che culturalmente non vive, che non progetta il futuro.

Gli Lcd Soundsystem ad esempio, così importanti per la musica contemporanea, in Italia sono praticamente sconosciuti, testimone lo sparuto pubblico di questa estate al concerto di Ferrara.

In realtà noi abbiamo una buona, viva, ben radicata scena indipendente che circa ogni due anni produce qualche cosa di interessante, con numeri competitivi anche rispetto a produzioni major. Il fatto è che domina questo grande rumore di fondo, con proposte commerciali il cui livello artistico è inesistente, tant’è che spesso si rivelano fallimentari anche da un punto di vista economico. Non sono nemmeno così bravi a vendere quello che hanno.

Quindi il sottobosco italiano ti piace. Ci fai qualche nome, magari giovane, con cui avete avuto occasione di lavorare e che stimate.

C’è molto fermento dal vivo, molta attività e anche delle qualità diffuse. Però fanno fatica ad emergere, e se ce la fai sei sicuramente temprato. È significativo che una proposta come quella de Il Teatro degli Orrori abbia dovuto attendere così tanti anni per avere la visibilità che ha oggi. Recentemente ci è ad esempio capitato di suonare con Io Sono un Cane, un progetto molto particolare, anche i Don Turbolento sono una buona band. Gruppi interessanti in Italia ci sono, manca forse un po’ di attrazione sui mezzi di comunicazione.

Domanda volutamente paradossale: ti piace la musica che fate? Mi spiego: ho letto che il progetto ODP da un punto di vista strettamente musicale è tutto in mano ad Enrico e Daniele, ed i tuoi gusti, particolarmente orientati verso una certa scena italiana, mi sembrano un po’ lontani da elettronica e shoegaze.

Io ero un fan dei gruppi di Enrico e Daniele, uno dei quali si chiama Magpie, marcatamente shoegaze, il cui ultimo disco è uscito lo scorso anno. Ci siamo conosciuti perché andavo ai concerti delle loro band. Inoltre io, pur essendo molto legato alla scena indipendente italiana, provengo dagli anni ottanta, ci sono quindi numerosi gruppi fondamentali verso i quali abbiamo una comune passione. Detto questo, effettivamente il mio contributo alla musica degli Offlaga è minimo, ma ovviamente mi piace come a Enrico e Daniele piacciono i miei testi.

Restiamo sui testi: quali sono i tuoi gusti letterari, gli autori che ti hanno influenzato o che, più semplicemente, ami leggere?

Come nella musica, sono molto legato alla scena contemporanea italiana: leggo con passione scrittori come Paolo Nori, Simona Vinci, Giuseppe Caliceti, mio concittadino che ammiro molto. Questi ed altri sono autori ai quali credo di essermi ispirato quando, superati i trent’anni, ho iniziato a scrivere. In ogni caso non mi sento uno scrittore ed ho un approccio piuttosto rilassato nei confronti di questa materia: per altro le versioni dei miei racconti che sono diventate canzoni degli Offlaga mi piacciono più adesso, in una forma asciutta e minimalista, che nella versione originale. La dimensione ODP è probabilmente quella che mi si adatta maggiormente. Per il resto, pur non avendo mai letto gialli in vita mia, ho in questo momento una passione totalizzante per i gialli svedesi (che in parte condivido con Daniele), sono anche andato in Svezia a vedere i luoghi in cui si svolgono le trame. In particolare mi piace Henning Mankell e il suo commissario Wallander. In generale cose contemporanee, anche non italiane, come Nick Hornby e Jonathan Coe.

(Paolo Nori)

Ultima cosa: tu ovviamente scrivi molto intorno al periodo del riflusso, e lo fai con una notevole dose di ironia, talvolta anche in modo distaccato. A proposito di quel periodo, in particolare rispetto all’emergere del consumo di droga di massa, si leggono però storie molto dure. Tu come hai vissuto quella fase, la tua biografia si riflette nelle tue storie?

In realtà io credo di aver vissuto in una realtà abbastanza protetta: una città di provincia, in cui il PCI controllava tutta la società (in senso buono) tenendola unita e pacificata. Qualche disastro dalla mia finestra l’ho visto, perché al campetto c’erano i tossici, ma nulla in confronto ai conflitti politici e sociali che hanno caratterizzato altre aree del paese. Posso dire che, nel periodo e nella situazione in cui ho vissuto io, il Partito mi ha protetto.

E adesso?

Abbiamo il primo sindaco non post-comunista ma post-democristiano della storia della città…son tempi duri…

(Francesco Marchesi)

Collegamenti su Kalporz:
Offlaga Disco Pax Circolo degli artisti (Roma)
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3 gennaio 2011

foto di Max di Antonio Viscido

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