DILATAZIONE, “The Importance Of Maracas In The Modern Age” (Acid Cobra, 2010)

L’indie rock è morto, e guai a chi risponde “lunga vita all’indie rock”. L’indie rock è finalmente finito e lo ce lo stanno a ridire, se non l’abbiamo già capito, i Dilatazione con questo “The Importance Of Maracas in The Modern Age”. In realtà a noi degli slogan e di queste definizioni ad effetto non ce ne può fregà de meno ma una tale affermazione è inevitabile per discorrere dell’importanza di questo disco rispetto a tutto quello che lo circonda. Quella che si è definitivamente estinta è una certa mentalità di fare musica degli Anni Zero, insopportabile, secondo cui meno sapevi suonare e meglio era. Un esempio? C’era un tizio di una band “imprescindibile” di quegli anni che un giorno si alzò e se ne uscì con: “Oh, ho formato una band con tre tizie fighe con un nome figo e suoniamo tantissimo: le ragazze non avevano mai preso in mano uno strumento, anche adesso non sanno suonare ma abbiamo un booklet da paura e tutto ciò è tremendamente cool”. Ecco, basta.
I Dilatazione fanno piazza pulita di questo modo finto-spontaneistico di approcciarsi alla musica già totalmente destabilizzato a livello globale dai Battles e qui da noi dai Calibro 35, e lo fanno – attenzione! – prendendosi molto meno sul serio di quelli che facevano quegli individui provvisori della musica indie-casalinga di cui discorrevamo prima. Del resto l’ironia è caratteristica fondamentale di questi toscani parenti con la Banda del Brasiliano (film già cult del toscano John Snellinberg), evidente fin dal titolo ma strabordante in tutti i passaggi: come si farebbe sennò a a campionare oggi giorno Craxi che dice “Noi chiediamo i voti per governare” (in “Bettino Krauti”)? Panorami seventies da colonna sonora di film sui generis fantozziani modello “La polizia si incazza” (in “Don’t make that joint”), abbozzi giocattolosi ma pur sempre sperimentali (“Pucino”) con le briglie ritmiche tra lo sciolto (“Dividing Goblins”) e il controllato (“Exit Poll – Marx On Mars”), i Dilatazione resuscitano lo spirito di chi suona perché ha passione per il suonare, non quella di apparire. Un amore incondizionato per i suoni e per le loro declinazioni (e non per il tecnicismo, sia chiaro!) che ci volevano far credere fosse andato in pensione per sempre, sostituito dallo spontaneismo spiccio, dall’arte nascosta in ogni cosa, dal minimalismo limitante.
Non sappiamo quanto durerà questa restaurazione, e non ci interessa che ci si spinga più in là sulla strada progressive (che non ci piace), però una speranza c’è ed è ovvia: che si rimanga ben ancorati al nocciolo delle cose come hanno fatto i Dilatazione.

(Paolo Bardelli)

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13 novembre 2010

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