Abbabula Festival (Sassari) (13 maggio 2010)

Non ci si ricorda mai abbastanza quanto sia bella la Sardegna. Specialmente in questo periodo, di primavera: colori pastello, fortissimi chiaroscuri, una brezza piuttosto pungente che fa vestire i sassaresi con maglioncino e giacchetta alla facciazza dei turisti che vorrebbero sfoggiare le classiche mezzemaniche.

Abbabula (che significa “acqua alla gola”) inizia così, in questa città fiera – Sassari – che già al primo sguardo non si scompone, poi si schiude in una bellezza tanto aspra quanto sobria, che colpisce. Una città seria, laboriosa e sonnacchiosa allo stesso tempo, che accoglie questa 12esima edizione del Festival con un entusiasmo che esplode tutto d’un tratto. E’ il primo anno che le manifestazioni si tengono all’aperto, vivendo la città, e non è dunque così scontato vederne il riscontro: ottimo, con un solo fuori programma, un vecchio che protesta vivacemente per il casino durante il soundcheck al pomeriggio ma che è solo un personaggio sparuto.

Il battesimo lo danno i più piccolini, chiamati verso le 18 nel cortile di Palazzo Ducale per “Abbabula Baby” allo spettacolo di Filù: il suo “disegno umoristico crittografico” è un disegno che parte da alcuni tratti e finisce per creare altre forme, con un sottofondo di voci e vocette che mi hanno ricordato quelle de “La linea” di Cavandoli. Un modo per l’organizzazione di Abbabula (opera de Le Ragazze Terribili) di “formare il pubblico di domani” del Festival. Lungimiranti.

Musicalmente si parte in Piazza S. Caterina verso le 19 con un duo proprio di Sassari, i Lux: chitarra e percussioni, una buona vocalità derivata dalla propria provenienza in una proposta che potrebbe ricordare il Bennato degli anni ’70 oppure, in alcuni punti, Moltheni. Peccato per i testi, sotto il livello di sufficienza per la banalità con cui sono affrontati alcuni temi come la televisione, ed essendo acustici è chiaro che le parole si fanno ascoltare distintamente.

I titolisti della Nuova Sardegna avevano un po’ frettolosamente annunciato “I tre ragazzi morti all’Abbabula” ma, scongiurando qualsiasi interpretazione alla Roskilde, si sono presentati i Tre Allegri Ragazzi Morti, anzi quattro dato che sono aumentati di un’unità sul palco (con il secondo chitarrista che ha, invece che la classica maschera in faccia, una specie di nutria di peluche sulla testa…). Partono proprio con la titletrack del loro ultimo lavoro, “Primitivi del futuro”, e bisogna dire che questa nuova intenzione reggae che permea il disco ha fatto bene a Toffolo e soci: stempera un po’ la semplicità dei loro arrangiamenti che, sinceramente, si avevano un po’ a noia. Piazza S.Caterina si anima in maniera subitanea, iniziano a notarsi cartoni di vino tra i capannelli di ragazzi sui gradini (che tanto, sennò, c’è sempre l’Ichnusa…), e il concerto continua con “Puoi dirlo a tutti”, “Mina” (proprio una bella canzone), “L’ultima rivolta nel quartiere Villanova non ha fatto feriti” e poi con i loro classici (“Mai Come Voi”, “La Salamandra”, “Prova a star con me un altro inverno a Pordenone”) che, sarà perché si sono ascoltati troppe volte dal vivo, sembrano con meno smalto rispetto alle ultime. In realtà il pubblico risponde alla grande (ad esempio su “Il Mondo Prima”), i T.A.R.M. paiono molto amati qui in Sardegna per cui… chi è che ha ragione? Nel finale c’è anche spazio, ovvio, per “Mio fratellino ha scoperto il rock’n’roll” e “Occhi bassi”.

Proprio quando l’atmosfera è al massimo della “festa” bisogna spostarsi al Teatro Verdi, per Samuele Bersani. Il romagnolo mette in scena l’ultima data del suo tour teatrale, e un po’ si vede: nonostante anche qui la perfomance sia applauditissima, anche a metà canzoni, l’amalgama generale con la nuova band più scarna rispetto alla tournée de “L’Aldiqua” è un po’ di quelle come quando i baristi ritirano i tavoli all’aperto, di sera, un’aria di smobilizzo insomma. Nonostante questo, che è assolutamente normale nelle logiche delle band in tour, Bersani si conferma un vero mattatore, il “cantautore italiano più spettatore che ci sia”. Ormai è chiaro: la sua ansia è quella di non creare assolutamente barriere con il pubblico, di raccontare qualsiasi aneddoto che lo riguarda, di essere lui “più spettatore degli spettatori stessi”. Lo dimostra anche il suo look, in perenne stato di normalità: jeans e giacchetta di jeans, come chiunque di noi andrebbe in giro al sabato pomeriggio, e anche con occhiali (che lui stesso definisce “alla Marzullo”) che qualche artista potrebbe avere il vezzo di non mettersi sul palco.
Tra l’inizio di “Non portarmi via il nome” e la fine di “Coccodrilli” c’è spazio per ben di più di due ore di musica (e sopratutto chiacchiere) nella maniera più a viso aperto possibile, qualche stonata, canzoni assolutamente superlative (“Periodo pieno di sorprese”, “Cattiva”, “Scrutatore non votante”) e alcune fatte in nuove vesti, come “Occhiali rotti” con il banjo oppure “Il mostro” solo piano elettrico suonato proprio da Bersani.

E’ un giorno feriale, e la prima giornata di Abbabula termina qui: domani ci sarà spazio anche per il concerto di mezzanotte.

14 maggio 2010