SOAP & SKIN, Lovetune For Vacuum (PIAS, 2009)

Si chiama Anja Plaschg, è nata e vissuta a Gnas, sperduto paesello in Stiria (Austria) e ha composto (poco più che diciottenne) in solitudine pressoché completa uno degli esordi più rimarchevoli dell’annata musicale in corso. Osannata in pari misura dalla critica telematica (principale catalizzatrice del “caso” mediatico) che dalla carta stampata, con il suo esordio “Lovetune For Vacuum” questa ragazza dal talento prodigioso e straordinariamente precoce (ancorché maturo) è riuscita a sintetizzare un luogo musicale in cui la struggente contrizione funeraria di un Antony mitteleuropeo incontra le marziali profezie apocalittiche di una Nico oltremodo catacombale, trafitta dalle algide geometrie cibernetiche della Bjork più solipsistica, in bilico tra ineluttabilità wagneriana e il furore medievale di Carl Orff.

I due binari lungo i quali si snoda la complessità compositiva del lavoro sono essenzialmente il pianoforte e la membrana scricchiolante di microbeats sformati e fuggevoli in cui esso si avvolge come in un nero sudario di insetti e tarli invisibili che scavano ed erodono la sua pallida salma. (Post)Modernità e urlo primitivo perfettamente compenetrati in una creatura bifronte, dal fascino strisciante eppure fortissimo. Nutrite di un immaginario gotico, popolato di creature ombrosamente visionarie ma al contempo dolci e vulnerabili, le assai originali canzoni di questa singolarissima autrice paiono a tratti tradurre in musica le intuizioni tra l’umanamente deforme e il grottesco di un Tim Burton alle prese con le sue deliranti iperboli favolistiche (ascoltate “Cry Wolf”), coniugando l’epica distorta di una allucinata discesa negli inferi del femminile con un potente lirismo denso di immagini e profondissima poesia neogotica imbevuta di lacrime e sangue fino al più completo stordimento (ne sia testimonianza l’intensissimo brano strumentale “Turbine Womb”).

Forse è ancora prematuro annunciare con toni coltivatamente entusiastici la nascita di una nuova stella, ma resta innegabile l’abilità e lo sguardo sottilmente affilato che scruta e afferra di prepotenza l’ascoltatore attraverso il mistero fascinoso e devastato di canzoni come “Cynthia” (un piccolo capolavoro), “Mr. Gaunt PT 1000” o “Spiracle”. Nel complesso un disco come “Lovetune For Vacuum”, più che esaurirsi, come annunciato dal bellissimo titolo, in una dichiarazione d’amore impossibile per la perfezione assoluta del vuoto o in un elogio musicale del silenzio, finisce con il ricordarci l’importanza della verità, qualunque essa sia, in un panorama musicale troppo spesso schiacciato da fin troppo prevedibili finzioni ed esercizi di annoiata simulazione collettiva. Una verità, quella di Anja Plaschg, che pare sgorgare da una ferita al centro esatto dell’anima, aperta e sanguinante prima ancora che l’anima iniziasse a respirare, più originaria e antica dell’origine stessa. Da ascoltare.

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