SETTLEFISH, Oh Dear! (Unhip / Audioglobe, 2007)

Oh dear! Un’espressione da nonna, che accoglie in casa il nipotino dopo che si è sbucciato le ginocchia cadendo dalla bicicletta. E’ un ricordo come tanti, ma ti colpisce proprio quando stai diventando adulto, e ti aggrappi con forza alla leggerezza e all’incoscienza che avevi da bambino e che non ricordi più dove hai messo.

Il terzo disco dei Settlefish è tutto questo: non un racconto generazionale, ma un ritorno all’innocenza, suonando. E l’innocenza non può solamente avere la furia degli esordi, ma deve saper sorridere, giocare con la melodia.

Emo e non più emo, insomma: la batteria attacca frenetica, il ritmo una corsa scomposta. Ma anche la voce in primo piano. Morbidezze pop (levarsi “Summer drops” dalla testa. Chi lo sa fare, mi spieghi come), parole snocciolate in fretta come cantilene, accanto a chitarre armate al volto. Il ceffone di “In the neighborhood” accanto all’ondeggiare semi-acustico di “Whirlwind in delivery” o a “This city”, attacco da Postal Service travolti di elettricità.

E, su tutto, un’energia immensa, la cosa più bella di questo disco: te le senti arrivare addosso, queste quindici canzoni, e ti portano dove vogliono, non ti danno il tempo di pensare se ti piacciano o meno, non ti danno appigli, né riferimenti. E poco importa se i pezzi più spinti di “Oh dear!” sembrano assomigliarsi un po’ tutti: la loro innocenza scomposta ti avrà già catturato.

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