Franco Battiato, FestaReggio, RE, 7 settembre 2007

Senza dubbio un concerto migliore di quello, sempre reggiano, di due anni fa. Allora si era al palazzetto, con un’acustica piuttosto approssimativa. Oggi, a Festareggio con il suo “Vuoto tour”, Franco Battiato si presenta in compagnia della medesima band coinvolta nella registrazione del suo ultimo album. Apre Roberto Cacciapaglia con alcuni brani del suo nuovo album, che suonano per la verità molto soundtrack e ludovicoeinaudiani. Un po’ troppo.

Si comincia subito in modo atipico, con vecchi e splendidi brani del repertorio: su tutti “Povera patria” – sempre più in linea, di questi tempi, con il diffuso sentire degli aficionados di Beppe Grillo, accompagnata da un’ovazione sul verso “Tra i governanti quanti perfetti e inutili buffoni” – e “Oceano di silenzio”. Seguono le novità: “Aspettando l’estate”, “I giorni della monotonia”, “Niente è come sembra”, “Il vuoto”, “The Game Is Over”. Davvero azzeccato il mixaggio del suono nonostante il numero degli strumenti e il sovrapporsi di elettrico, elettronico e acustico. Il pianoforte di Guaitoli e gli archi del Nuovo quartetto italiano si affiancano brillantemente alle tastiere di Angelo Privitera e non vengono coperti dalle chitarre di FSC e MaB, le due formazioni rock di supporto al tour: la prima già presente in “Dieci stratagemmi” e relativo tour, la seconda, quartetto femminile di metal sui generis, davvero poderoso nel muro di suono adattato al raffinato pop del cantautore: come in “Cuccurucucu”, strumentalmente vitaminizzata. Generosa la scaletta: costruita sostanzialmente su un dualismo classici/ultime realizzazioni, ne esula solo per una manciata di brani quali “Ruby Tuesday” (splendida con l’accompagnamento vocale delle MaB) e “Amore che vieni, amore che vai”, “Tra sesso e castità” e “Strani giorni”. Una generosità estranea a quella finta saturazione da successo, divistica e snobistica, che qua e là contagia altri singer d’annata con sintomi decisamente dannosi per il pubblico dei concerti. Battiato rinuncia agli accenni alla sua fase sperimental-progressiva, recupera “Caffè de la paix” e nel finale si lancia in uno scatenato medley. Inframmezzato da una parodistica e sgangheratissima performance poetico-filosofico-canora di Manlio Sgalambro – che perde il filo, interrompe i musicisti e chiede candidamente “Da dove riprendiamo?” come se si trattasse di una prova – il concerto segna l’ennesimo, agile tagliando di una voce inimitabile, sebbene qualche più difficile passaggio sia stato abilmente dribblato un’ottava sotto o con una nota meno tenuta. Perdonabili escamotage ampiamente compensati da una intonazione sempre purissima anche dal vivo.

Bravo Battiato, ancora una volta, nella scelta dei collaboratori; scelta dettata sempre da una curiosità musicale onnivora e multiculturale rimasta intatta negli anni: le MaB, e soprattutto Psycho Jeremy con la sua duttilissima voce, sono sorprendenti, teneramente cattive. Curioso il suono della chitarra di Davide Ferrario, compresso al massimo e con scarsissima dinamica, probabilmente per permettere l’accostamento delle due chitarre delle colleghe.