BLACK REBEL MOTORCYCLE CLUB, Baby 81 (RCA / Island, 2007)

Torneremo a fare quello che ci viene meglio: rock’n’roll.
Con proclami come questo iniziarono a diffondersi le voci a proposito di “Baby 81”, quarta fatica targata Black Rebel Motorcycle Club e, via il dente via il dolore, probabilmente la cosa migliore che hanno mai fatto.

Di rock’n’roll ce n’è, eccome. Ce n’è tanto, al punto che questo disco vanta prima di tutto uno dei trittici di partenza migliori dei miei ultimi tempi: “Took Out A Loan”, “Berlin” e “Weapon Of Choice”, sono pezzi che sanno già di classico senza rimasticare a forza il loro ingombrante anthem “Whatever Happened…”, ormai tranquillamente superato. Le chitarre ricominciano a graffiare e il ritorno del quasi disperso Nick Jago, vero maestro di ignoranza batteristica, si fa sentire. “Baby 81” è così una specie di via di mezzo fra le loro nature: quella più shoegaze dell’esordio; quella ruvida di “Take Them On, On Your Own” esagerato tributo al rumore più assordante; quella acustica, blues e legata alle radici, dell’ultimo, stupendo, “Howl”. Non esiste quindi una netta presa di posizione, potrà dire qualcuno. In questo caso non esiste l’estremo.

Quel che c’è, però, è la capacità di colpire dritto nel segno.
Il mezzo può essere la solita vecchia scuola che si basa sul tiro del rock (“Need Some Air”), sul ritmo del blues languido (“666 Conducer”) o, più sorprendentemente, sul pop con la P maiuscola. In questo senso, buttiamo nel cesso quella pena degli ultimi U2 e prendiamo su pezzi come “Not What You Wanted” e soprattutto “All You Do Is Talk”, che ruba l’atmosfera di “The Joshua Tree” (e l’inconfondibile attacco di “Where The Streets Have No Name”) e la fa rinascere con la dignità e la purezza che il caro vecchio Bono ha irrimediabilmente perso.

E, fortunatamente, se pezzi come “Lien On Your Dreams” o l’arrogante – ma non è proprio questo il bello? – “American X” possono mostrare un po’ la corda, dall’altro ci sono momenti da punta di diamante: “Window” o “Killing The Light” nascondono (sfruttandoli, questo è certo) gli ovvi limiti di una band che conosce sempre più se stessa e i propri mezzi in un percorso in continua salita.

Giunti ad un’ulteriore maturità, già data per ovvia con “Howl”, i Black Rebel mantengono tutte le promesse e ci regalano quel sano rock’n’roll di cui avevamo uno stramaledetto bisogno. E la conferma che non c’è davvero bisogno che nessun grande vecchio ci insegni più nulla.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *