THE LONG BLONDES, Someone To Drive You Home (Rough Trade / Self, 2006)

Ascoltando dischi come il debutto dei Long Blondes salta quasi subito alla mente una considerazione lampante: l’onnivoro revival pop delle ultime tendenze musicali sta, nemmeno troppo lentamente, spostando i propri territori di caccia in direzione degli anni Novanta. Prendendo in considerazione il caso specifico di questo quintetto di Sheffield (per tre quinti femminile), è impossibile non notare una frequentazione quantomeno assidua della musica di gruppi come i concittadini Pulp, senza dimenticare Suede o, soprattutto, Elastica.

La cosa per certi aspetti paradossale è che, nonostante tutto, il gioco degli innesti riesce alla perfezione nella sua attitudine spericolata e i frutti sono quasi tutti gustosi. Mutuando dai Franz Ferdinand uno sguardo smaliziato e sottilmente compiaciuto della propria guizzante intelligenza, i Long Blondes danno così alle stampe un disco perfettamente attuale per quanto costruito con materiali rock vecchi di almeno un decennio quando va bene, e di un quarto di secolo negli altri casi. La prima parte del lavoro è costituita da composizioni dal piglio wave che si destreggiano con agilità ed eleganza piroettando sulle punte tra citazioni di Blondie, Slits e Siouxie: si va dall’isterismo glam di “Lust in movies” al cantilenante scioglilingua britpop ”Once and never again”, passando per le tracce di rossetto sbavato di “Only Lovers left alive” e “In the Company of Women”, senza poi dimenticare il passo felino di melodie sensuose e al tempo stesso graffianti come “Giddy Stratospheres” e “Heaven Help the new girl”: i Long Blondes saltano da un’epoca all’altra della grande festa del pop senza far cadere una sola goccia dalla loro coppa di champagne.

La seconda parte del disco forse si sfalda un po’ e perde compattezza in momenti più chiassosi ( “Separeted by motorways” o “You could have both” che si divertono a pasticciare con colori sgargianti certe linee di chitarra quasi alla Joy Divison) ma per fortuna al pop piuttosto approssimativo di “Swallow tatoo” rispondono con prontezza i fasti di “Weekend without make up” che rimettono a lucido la diroccata e cadente “Disco 2000” dei Pulp, e grazie ad un ritornello dallo charme irresistibile tutti possono ritenersi invitati alla sua inaugurazione. Chiudono questo splendido esordio “Madame ray”, eccellente esercizio di perizia sartoriale tra Pretenders e Abba e “A knife for the girls” dai contorni più intricati e meno convenzionali, comunque persuasiva.

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