CHARLOTTE GAINSBOURG, 5:55 (Wea International, 2006)

E’ almeno un paio di settimane che aspetto che esca nei cinema della mia città “L’Arte Del Sogno” di Michel Gondry, e non arriva mai. Dovrò emigrare, non c’è pezza. Non è per vedere se Charlotte Gainsbourg è una brava attrice, questo l’ho già appurato, da ultimo in “21 grammi”. E’ piuttosto per godere ancora una volta di quella creatività francese che si è sparsa oltre i confini del liceo Jules Ferry di Versailles: erano tutti lì, nell’87, Jean-Benoit Dunckel e Nicolas Godin degli Air, Etienne de Crécy, Alex Gopher e Michel Gondry. Impensabili allora le fortune che avrebbe avuto successivamente questi artisti.

Gondry e gli Air, oltre quel passato studentesco, hanno in comune qualcos’altro, ultimamente: l’avere fatto da chiocce a Charlotte Gainsboug. Cinematograficamente il primo, musicalmente i secondi. “5:55” è praticamente un album degli Air anche se ci sono altre firme, quella di Nigel Godrich alla produzione in primis ma anche quella di Jarvis Cocker (Pulp) e Neil Hannon (Divine Comedy) per i testi e David Campbell (papà di Beck) per gli arrangiamenti d’archi. Preferisco però circoscrivere l’affare agli Air e la Gainsbourg: un matrimonio musicale che cela soprattutto l’esigenza di esorcizzare il senso di inadeguatezza che si ha nei confronti dei propri padri, veri o putativi che siano. Sia per Charlotte che per i due parigini credo che si sia trattato soprattutto di questo. Serge Gainsboug è stato un riferimento palese e dichiarato nell’educazione musicale del duo autore dell’imprescindibile Safari Lunare, per cui associando i loro nomi a quel cognome, “Gainsbourg”, hanno voluto autolegittimarsi e pareggiare la sfida impari. Per Charlotte voleva invece dire tornare in studio per la prima volta dopo che il padre era morto. Altra sfida, altro esorcismo.

In definitiva nutro molti dubbi su questo matrimonio combinato, necessitato, anche se – guardando l’altro lato della medaglia – proprio questa ineluttabilità riconferma la forza del destino e della vita. Perciò in “5:55” c’è tutto questo: toccanti canzoni in cui davvero la società artistica Gainsbourg & Air s.p.a. trova momenti di grazia, come in “Af60715” e “Little Monsters”, alternati a cali di intesa, Siamo Qui Insieme Perciò Incidiamo La Prima Cosa Che Ci Viene In Mente, come in “Everything I Cannot See” o “Morning Song”.

Quello che mi piace, però, è quell’alone malato come se fossero resuscitate le Vergini Suicide, degli zombi (femmine, ovviamente) che escono dalle loro tombe fischiettando melodie alla “Cherry Blossom Girl”. Potrebbe essere un’idea per il prossimo film di Gondry. Nel frattempo ho già ascoltato il nuovo album degli Air, e ho capito a cosa è servito questo “5:55” e il precedente unfinished lavoro solista marcato Darkel: a non fare entrare tutto ciò che non è Air in “Pocket Symphony”. Svisate caciarone e francesismi esasperati sono deviati in queste due opere parallele, lasciando solo il vero retrofuturismo per il marchio Air. Una cosa è comunque certa: in una compilation degli Air “Af60715” e “Little Monsters” ci stanno da dio.

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