MIDLAKE, The Trials Of Van Occupanther (Bella Union, 2006)

Ad un primo ascolto – magari traviato dalla visione del bucolico video di “Roscoe” – i Midlake non sembrano altro che l’ennesima pagina del pop da west-coast figlio degli America e di certi C.S.&N.. Una truppa di contadini dell’800 da grande romanzo americano. Uomini veri che lavorano sodo e poi tornano a casa la sera al caldo del focolare domestico. E in effetti, ad ascoltare i testi, un po’ si sente questo tema, quello del campagnolo senza macchia che torna dopo una giornata spesa a spaccarsi la schiena. Ma non è questo che colpisce. Perché dietro questa faccia puramente made in USA, i texani mettono assieme uno spettro sonoro che nasconde una scrittura che tende all’epicità dei Radiohead di “The Bends”, alle strutture melodiche di Rufus Wainwright (anche per quanto riguarda la voce) e alla ricchezza della scrittura propria di Van Dyke Parks. Insomma, niente male per dei ragazzi di poche pretese che solo due anni fa cercavano di fare un “Kid A” fatto in casa con “Bamnan and Slivercork”. Un sussidiario del pop americano che lascia presagire un talento non ancora sbocciato.

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