RICHARD ASHCROFT, Keys To The World (Parlophone, 2006)

Ad ogni uscita de “il fu Mad” Richard la domanda che mi pongo è sempre la stessa: e se non fosse stato il cantante dei Verve? Avrei mai preso seriamente in considerazione la sua carriera? L’avrei mai considerato diversamente da un James Blunt a caso il cui video passerebbe esattamente dopo “Break The Night With Colour”? Non possiamo saperlo, anche se il dubbio da sempre mi attanaglia. E in occasione della sua terza uscita solista questo pensiero si insinua ancora di più. Certo, Ashcroft ha dalla sua una discreta classe e un timbro personale e riconoscibile; peccato che questo “Keys Of The World” passi inosservato come l’acqua sotto i ponti.

Grazie a non so quale dio qualcuno l’ha convinto ad abbandonare in parte le invadenti orchestrazioni di archi che, dopo solo due album, erano già diventate un ingombrante marchio di fabbrica, e a recuperare un po’ di ritmo che unito a un cantato più soul non può che riportarci alla mente l’ultimo Paul Weller (“Music Is Power” e la title track). Oltre a una vaga rivisitazione della grinta stonesiana (“Why Not Nothing?”, il pezzo migliore, non per niente messo in apertura) rimangono le ballate. Più e più volte Ashcroft si è dimostrato un vero professionista del mid-tempo ma – tornando al ragionamento di partenza – sembra tutto troppo regolare e “normale”, senza l’ambient, la psichedelia, lo shoegaze, o come volete chiamarlo, della sua vecchia spalla McCabe. È chiaro che il buon Richard abbia voluto staccarsi da quel passato con un’attitudine più cantautoriale che l’ha portato a show in solitaria totale. È il coraggio di voler ricominciare da zero. Ma allora perché ancora oggi andando ad un suo concerto la gente non aspetta altro che l’ennesima esecuzione di Bittersweet Symphony? E soprattutto: perché continuare a suonarla se si vuole ricominciare da zero?

La risposta è tutta qui. Mettendo sul piatto “Keys To The World” si potranno passare dei minuti senza dubbio piacevoli ascoltando del pop inglese che con grazia entra da un orecchio per uscire dall’altro. E, purtroppo, si potrà constatare come Ashcroft non sia riuscito ancora a tirare fuori dal cilindro qualcosa di davvero importante come tutti noi speriamo sempre possa tornare a fare.

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