SMOG, A River Ain’t Too Much To Love (Drag City, 2005)

I cantautori. Creature polimorfe che si muovono nel mare della musica con non specificato stile, abbracciandosi e lasciandosi, influenzandosi ed allontanandosi. I cantautori possono basarsi solo sulla propria personalità, elemento che deve emergere nonostante ogni cambiamento, ogni barriera, ogni limite superato. I cantautori sono quelle persone che nel buio della notte accendono una luce e scrivono su carta tutto quello che hanno dentro, cercando di dargli una forma più o meno accettabile. Non importa il mezzo: chitarra, pianoforte, laptop.

Quello che è importante per ogni artista che ambisca a questo titolo è – appunto – trovare la propria personalità e tenersela stressa come quanto di più prezioso possa esistere. Di esempi possiamo farne da qui fino alla fine dell’anno, perciò non vi annoieremo con noiose digressioni sul nulla. Basta sapere che “A River Ain’t Too Much To Love” saluta il ritorno di Bill Callahan/Smog come uno dei più importanti songwriter propriamente detti dell’ultima generazione.

Perché dove il precedente “Supper” si avventurava per lidi sconosciuti che, nonostante qualche notevolissima intuizione melodica, arrivavano a snaturare la sua vera essenza, con questo nuovo lavoro Callahan ritorna sui passi che gli hanno permesso di costruirsi una solidissima carriera. Certo, gli arrangiamenti sembrano più aperti e il mood generale non scade nella depressione. Ma non si tratta ugualmente di un lavoro solare. Ovviamente non mancano le emozioni, basterebbe l’arpeggio iniziale e l’attacco della voce di “Palimpsest” a sciogliere ogni timore, a far svanire ogni pregiudizio.

E come se non bastasse arrivano i racconti di “The Well”, le notturne ed urbane digressioni vagamente alcoliche di “Rock Bottom Riser” e le atmosfere da forgotten fellows di “Running The Loping” a suggellare il tutto in un disco che probabilmente non rimarrà negli annali, ma che mostra come l’ispirazione e il carattere possano tornare a galla nonostante tutto. Questione di personalità, forse. Ma anche di grazia e talento. E con questo disco abbiamo la conferma di poter continuare a sperare in una persona come Smog.

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