SUPERGRASS, Road To Rouen (EMI, 2005)

I Supergrass sono tra i gruppi che rappresentano meglio la vita. La vita che può essere spensierata, alle volte molto dura, a tratti triste, e nel mezzo tutte le sfumature che vanno dalle piccole emozioni alla normalità. Tutte queste sfaccettature sono sempre finite nelle canzoni della band di Oxford, e ogni loro album ha tratteggiato a turno uno di questi vissuti pur mettendoli in scena tutti. Si è andati dal puro divertimento di “I Should Coco” alla candida difficoltà di esistere di “Supergrass”, passando per la convinzione che domani è un giorno migliore di “In It For The Money”. Non si sta parlando di testi, ma di quello che la loro musica provoca sulla pelle, di quello che scatena quando dialoga con la tua vita, la vita dell’ascoltatore. E ci si ritrova a capire che quella successione di accordi non solo sa esprimere una situazione che hai vissuto, ma che quella successione è la situazione.

Ebbene, con questo “Road To Rouen” i Supergrass tornano ad esplorare quel sordido sentimento di inquietudine mascherato da normalità che già in “Supergrass” avevano iniziato a fare (si pensi ad un brano come “Moving”). L’approccio è confidenziale, i suoni tendenti all’acustico, ma non ci si trova di fronte al solito album del cantautore malinconico nella sua cameretta che si macera languendo che il mondo non lo capisce. I Supergrass sembra che vogliano raccontare che ci succedono cose beffarde, a volte tragicamente irridenti, ma che purtuttavia ci si riassesta e si continua. Come interpretare sennò la pensierosa cavalcata del singolo “St. Petersburg”, la calma nervosa di “Sad Girl”, la boccata d’aria livida di rabbia di “Kick In The Teeth”? Si sa, per fortuna ci sono anche momenti più dolci e “Fin” sembra essere un enorme, immenso abbraccio di una mamma che non c’è più, ma è solo un’illusione a cui fa da contraltare l’incomprensione cantata in “Tales Of Endurance (Part 4, 5 & 6)” e la fatica materializzata in “Roxy”.

A chi non si accontenta di sentir descritta la musica con delle sensazioni si può invece dire che in “Road To Rouen” si possono sì ritrovare richiami esterni ai Grant Lee Buffalo (“Low C”) e ai Talking Heads (“Road To Rouen”), ma che la struttura è sempre quella brit-pop a tinte blues dei Supergrass stessi, ormai talmente personale da non dover essere paragonata a nulla e nessuno. Facendo i compìti tecnici del suono si può spiegare che è un album finalmente compatto, morbido, che fa dimenticare gli errori tremendi di produzione di “Life On Other Planets”, uno dei peggiori album a livello di suono degli ultimi anni tra le produzioni di artisti affermati (ha una carica di frequenze medie che non si sopporta). Improvvisandosi i Tosatti della musica si può notare che “Road To Rouen” è stato inciso in Francia, a St. Mard, e che ciò ha conferito in effetti in alcuni punti un vago, leggero retrogusto da opéra sinfonica.

Ma se si rimane in una dimensione più tecnica come si fa a far capire il perché di un pezzo strumentale messicano cazzone come “Coffee In The Pot” posto esattamente a metà cd come un sipario tra un primo e un secondo tempo? Da un punto di vista musicale non si spiega, non c’entra nulla con tutto il resto, punto. Se si fa però un passo indietro, e si ritorna alla musica che è vita, allora si comprende che “Coffee In The Pot” è la risposta dei Supergrass. Non un semplice intermezzo, ma la soluzione che sta nelle pieghe: la vita è cazzona, ogni tanto bisognerebbe prenderla semplicemente così.

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