TV ON THE RADIO, Desperate Youth, Blood Thirsty Babes (Touch & Go, 2004)

Il ventunesimo secolo sarà il secolo del meticcio portato alle estreme conseguenze, e i Tv On the Radio possono tranquillamente candidarsi a band simbolo di questa urgenza nel campo musicale. Per cercare di rendere chiaro il suono che il terzetto composto da Tunde Adebimpe alla voce, Kyp Malone ai cori, alla chitarra e ai loops e David Andrew Sitek alla “music” ricerca e plasma bisogna immaginarsi un enorme patchwork sonoro nel quale far confluire il doo-woop, il soul, il pop, la new wave e l’elettronica.

Il terzetto mostra un fine gusto per la melodia, che esplode in maniera irrefrenabile nello stupefacente singolo “Staring at the Sun”, dove si mescolano le reiterazioni dei Suicide, un falsetto sensuale, coretti alla Beach Boys; la musica si dipana in maniera lineare, preferendo la stratificazione dei suoni agli improvvisi scarti sonori. La prima metà dell’album si mantiene su livelli eccellenti, dai fiati che aprono “The Wrong Way” scontrandosi con una base ritmica ossessiva e frastornante all’epico crescendo sinfonico di “Dreams” – una delle migliori ballate degli ultimi anni, capace di riportare alla mente il Bowie post-berlinese – dal doo-woop a cappella di “Ambulance”, dove l’uso dei cori e del controcanto acquista un valore inestimabile (e in alcuni fraseggi sembra addirittura di trovarsi di fronte ad un’operetta inglese d’inizio novecento) fino al rock wave di “Poppy”, urticante, decadente e fortemente chitarristico spiazzato da un intermezzo vocale divertente che sembra uscire diritto diritto dagli USA lindi e pinti degli anni ’50, quelli che non avevano conosciuto ancora congiure e ribellioni, apparentemente ricoperti di purezza.

Ogni tanto si mostrano segni di ripetitività, come in “King Eternal”, motivati più che altro da un assestamento troppo marcato in determinate zone della musica, ma viene naturale perdonare questi peccati di inesperienza. C’è tempo per sperimentare incursioni nel dub (incrociato in “Don’t Love You” con la spazialità cosmica dei Tangerine Dream di “Phaedra”), nel sudaticcio e malato incedere di “Bomb Yourself” e nel dark a metà tra vaghezze tribali e marce militari pronto a diventare jazz per flauto e fiati sul quale si dipana la voce aulica di Tunde di “Wear You Out”, ma in fin dei conti ciò che doveva esser detto era stato ampiamente esplicitato. Bisogna ancora capir bene quanto questo terzetto può dare alla musica contemporanea, ciò che abbiamo avanti adesso è uno splendido sogno, al quale basterà dare un colpetto di assestamento per renderlo quasi perfetto.

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