QUEENS OF THE STONE AGE, Songs For The Deaf (Interscope/Universal, 2002)

A detta di maggior parte delle riviste specializzate, questo “Songs for the deaf” è uno dei migliori dischi del 2002: premetto da subito di non essere d’accordo, ma aggiungo anche che è solamente una questione di preferenze personali…

Sicuramente queste canzoni manderanno (o, più probabilmente, hanno già mandato, data il ritardo con cui arriva questa recensione) in visibilio gli appassionati del rock più duro e tirato; lo chiamavano stoner, qualche anno fa, giusto per coniare un’altra definizione inutile, e i Kyuss erano stati indicati come i padri di questo genere: chitarre potenti, echi grunge e punk, psichedelia acida e pesante; i Queens of the Stone Age proseguono su questa strada, con competenza e autorevolezza sempre maggiori, coinvolgendo nel gioco nomi come Mark Lanegan e un Dave Grohl per l’occasione tornato alla batteria (e queste sessions devono avergli fatto decisamente bene, visti i risultati del nuovo Foo Fighters).

Un’ora di assalti sonori, una musica violenta e veloce come un treno che travolge tutto quello che incontra: le sorprese, semmai, arrivano dopo qualche ascolto, quando si arriva a percepire che, dietro al frastuono, ci sono sostanza e idee.

In un periodo in cui tutti sono così impegnati a rincorrere l’ultima moda (il new acoustic movement, le fotocopie scolorite e senza midollo del rock anni ’70…quale sarà la prossima, e tutti quanti già pronti a gridare al miracolo?), “Songs for the deaf” fa dei QOTSA la migliore rock band del momento, quella più ispirata, quella più genuina, quella che sa come alzare il volume senza per forza dover riciclare idee e stili altrui.

Un poderoso vaffanculo alle scimmie che continuano a berciare “il rock è morto”: che ascoltino questo disco, e che lo facciano a volumi da lite condominiale…

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