MINOX, Downworks (Suite inc., 2001)

Vengono da lontano Mirco Magnani e Marco Monfardini, anime dei Minox. Preferendo, fin dagli esordi, platee europee a semplici palchi italiani, esordiscono nel 1986 con l’album “Lazare” prodotto da Steven Brown dei Tuxedomoon, storico gruppo statunitense fondatore di una sorta di noise/dark elettronico. Abbandonato il progetto per alcuni anni, i due lo riprendono nel 1994, tenendo a battesimo la loro casa di produzione, la Suiteside per l’appunto. Una serie di lavori e di collaborazioni è il preludio a questo “Downworks”, che continua la sperimentazione elettronica da loro sempre vista come la “svolta del futuro”.

L’arte dei Minox è raffinata, come dimostra la suite d’esordio “Fenotype”, che ricorda molto da vicino i Radiohead di “Kid A”. In “Tribute to the end” alle tastiere e ai campionamenti si aggiunge il basso, così come in “Arp 2001”. E proprio in “Arp 2001” si assiste alla prima importante collaborazione: il brano è scritto in collaborazione con Lydia Lunch, anima vagante della new wave dei primi anni ’80, che visse passando da collaborazioni con Nick Cave a stage divisi a metà con i Sonic Youth. Il brano, cupo e riflessivo, è attraversato dalla deviante voce recitante della Lunch, che collabora, con le stesse mansioni, anche a “Cobalt”. Un violino spettrale – suonato da Blaine I. Reininger – si fa largo in “Disenchant” e “The Lost Poet”; un remix di Nobukazu Takemura ci lancia in “Plaza”, dove l’elettronica si fa più dura, più grezza, pur mantenendo la sua straordinaria raffinatezza, e dove ascoltiamo l’esile voce di Kiku.

I brani si dipanano su una trama efficace e ricercata, mai casuale anche nei passaggi di maggior immediatezza, dimostrando una capacità d’istinto notevole. Brani che appaiono perfetti per la colonna sonora di un film imperfetto ma mitico, di culto. Atmosfere siderali che si sciolgono in melodie delicate e funeree risonanze che riecheggiano in pacificanti silenzi. E tanti riallacci culturali, sia musicali che non. Una musica che spazia dai Tuxedomoon ai Joy Division, dai Radiohead ai Depeche Mode. E che non sfigura sulle platee internazionali che ha conquistato in tutti questi anni.

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