BOB DYLAN, Love And Theft (Sony/Columbia, 2001)

Bob Dylan, ovvero: andare avanti guardando indietro. A sessant’anni appena compiuti Mr. Zimmerman riesce a stupire e soprattutto a divertire i suoi fans (e non solo) con questo “Love And Theft”. Mentre i vecchi leoni del passato si azzuffano per cercare di rincorrere le ultime ed effimere mode, aggiornare il proprio sound, Dylan si presenta nel nuovo millennio come un bonario e sornione entertainer navigato, capace di raccontare in dodici battute storie vere ed improbabili, commedie e tragedie, amori e furti.

Il “furto” a cui si riferisce Dylan nel titolo dell’album è quello della tradizione afro-americana, preziosa eredità trasmessa a quei “figli bianchi” che l’hanno resa (se ciò era possibile) ancor più grande. In questo disco, Dylan si appropria di questa eredità e compie un viaggio immaginario nell’anima musicale dell’America, dalle strade polverose che portano a Nashville, fino alle paludi fangose del Mississipi. Il brano d’apertura “Tweedle Dee & Tweedle Dum” è un indiavolato rockabilly che fa indovinare subito lo spirito di questo disco: l’immediatezza, la spontaneità del “buona la prima”, e soprattutto la voglia di divertirsi e di divertire. Al suo fianco, una band di virtuosi e fidati veterani come Charlie Sexton alla chitarra, Tony Garnier al basso, David Kemper alla batteria e il tastierista Augie Meyers. Grazie al supporto di questi illustri compari, Dylan riesce a ricreare nel disco un’atmosfera “live” impareggiabile, scaraventando l’ascoltatore in un chiassoso locale del West.

Ma il viaggio è appena iniziato. Si prosegue con “Mississipi”, placido country risalente alle sessioni di “Time Out Of Mind” e già inciso da Sheryl Crow, per poi passare a “Summer Days”, irresistibile “boogie” in stile Sun Records, seguito da “Bye And Bye”, elegante “shuffle” in cui Dylan si diverte a riprendere la melodia di “Blue Moon”. Già a metà disco si capisce che il gioco funziona; Dylan si trova perfettamente a proprio agio tra banjo, chitarre dobro e mandolini, e lo dimostra regalando una dopo l’altra delle piccole perle che sembrano già avere una storia, come “High Water”, tesissimo country tanto antico da sembrare il padre di “Gallows Pole” dei Led Zeppelin, o “Lonesome Day Blues”, altro irresistibile “shuffle” che sembra provenire dalla stessa fucina da cui ha attinto Eric Clapton per il suo “From The Cradle”. Ma in questo caso, signori, si tratta di brani originali; che sia ancora possibile scrivere dei classici?

Il Bob Dylan del 2001 è un poeta meno incazzato, ma non per questo meno sarcastico. Dietro ai ritmi molleggianti di “Love And Theft” si respirano ancora le storie di una provincia americana reale o fittizia che sia, unita alle nostre vite dalla “Highway 61”. Finalmente un disco di Dylan da godersi preferibilmente in compagnia di una birra gelata piuttosto che di Fernanda Pivano.

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