COWBOY JUNKIES, Open (Latent Recordings, 2001)

Senza far troppo rumore, i Cowboy Junkies arrivano al loro ottavo album attraverso una carriera più che decennale. I lavori di questo gruppo canadese sono sempre stati una prova di semplicità e coerenza inoppugnabili, qualità piuttosto rare nel mondo del rock. Perché di rock si tratta. La band canadese, infatti, è sempre stata in grado di fondere contaminazioni country con atmosfere elettriche, a tratti psichedeliche.
Il loro ultimo lavoro, “Open”, rientra perfettamente in questo filone, anche se l’apertura può lasciare parzialmente spiazzati. “I Did It All For You” si svolge e si avvolge su un ipnotico arpeggio di chitarra su cui si tessono i sottili ricami melodici di Margo Timmins. Anche la seguente “Dragging Hooks” riprende la medesima atmosfera. Qui le acque si movimentano, ma il groove ipnotico permane; il brano si muove su un riff di basso molto bluesy, da cui la chitarra si lancia in delicati rumorismi.
Con “Bread And Wine” si esce da quella cappa di plumbea psichedelìa e si torna a vedere il sole, un sole tenue, mai invadente. Come la voce di Margo Timmins, sempre molto trattenuta. Il brano rispecchia in pieno lo stile Cowboy Junkies: un country rock con un po’ di malinconia intrappolata tra le corde della chitarra e della voce.
Ma c’è dell’altro. L’elemento psichedelico è un’altra importante componente del sound della band dei Timmins. Michael Timmins, chitarrista, songwriter e produttore, lungo il disco offre le più variegate sonorità chitarristiche, che creano quelle atmosfere sospese tra rock sanguigno e indefiniti paesaggi sonori ai confini della psichedelìa (brani come “Dark Hole Again” ne sono un buon esempio).
Nonostante queste atmosfere ricercate, il disco dà comunque l’impressione di una jam session, di musica catturata al momento, senza troppe sovraincisioni e rimaneggiamenti. Il gruppo sembra essere pienamente consapevole della direzione da imboccare, anche quando introduce nuovi e comunque riusciti elementi come l’organo, l’armonica, il mandolino.
I Cowboy Junkies si apprestano ora a pubblicare anche un “The Best Of”, segno che dopo più di due lustri di carriera, è ora di fare i conti anche con il proprio passato. Un passato a volte scomodo, soprattutto per quelle pressioni da parte di critica e pubblico che vorrebbero un ritorno a quel “Trinity Session” che li aveva catapultati al cospetto dell’attenzione internazionale. La band canadese preferisce andare avanti piuttosto che guardarsi alle spalle, suonando e scrivendo canzoni con la semplicità e l’umiltà di sempre.

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