Richard Ashcroft, Nonantola (MO) (Vox Club) (6 ottobre 2000)

di Luca Paltrinieri

“Alone With Everybody”, l’album solista dell’ex cantante dei Verve, trae il suo titolo da quello di una poesia di Charles Bukowski. Ma le canzoni in esso contenute, e il relativo concerto hanno poco a che spartire con il nerbo e i testi sanguigni del celebre scrittore.
Il concerto è stato spostato al Vox di Nonantola a causa del numero di biglietti venduti, non sufficientemente alto per giustificare l’utilizzo di un palazzetto dello sport. Anche il tipo di spettacolo e di musica, peraltro, erano più adatti per un locale di medie dimensioni.
Richard Ashcroft si è presentato puntuale sul palco, alle 21.30, in jeans, giacchetta nera di pelle e occhiali scuri, imbracciando una chitarra acustica, accompagnato da altri otto elementi: batteria, percussioni, basso, tromba e sax, pedal steel guitar e due tastiere. A queste ultime è spettato il compito di eseguire l’accompagnamento di archi che dall’ultimo lavoro dei Verve sono diventati elemento caratterizzante della musica di Ashcroft. Il gruppo ha offerto un sound compatto e sostenuto ad avvolgere la voce del cantante, che è risultata l’aspetto forse più convincente dello spettacolo. La presenza più insistente a livello musicale era la pedal steel guitar, suonata da B.J. Cole, strumento che è stato sempre in primo piano, mentre il suono dei fiati ben di rado ha raggiunto le orecchie del pubblico in modo distintamente percepibile. Nel complesso lo show è parso piuttosto monotono, senza grandi momenti: i brani, le atmosfere, gli arrangiamenti, tutto era come ricoperto dalla medesima patina, qualcosa di gradevole, ben confezionato, ma sostanzialmente uguale a se stesso.
In scaletta, accanto a brani del disco solista, ne comparivano alcuni dei disciolti Verve. Dopo l’esecuzione di “Sonnet”, Ashcroft introduce “C’mon People (We’re Making It Now)” dedicando il pezzo a quanti si battono per una rivoluzione e in particolare al popolo iugoslavo, raccogliendo facili applausi. Le liriche, prive di qualunque spessore, ma sufficientemente indefinite per potere essere applicate ad un numero altrettanto indefinito di situazioni o stati d’animo, come spesso richiede il copione della canzone pop, vengono in questo caso piegate in senso pseudo-impegnato.
Dopo è stata la volta di “On a Beach”, prodotto gradevole e ben arrangiato, dove gli interventi della pedal steel guitar sono contenuti e ben indovinati. L’accostamento con la successiva “Lucky Man” produce una strana impressione: sembra di riascoltare nuovamente il brano appena eseguito, presentato in una veste differente, e questo ha dato una sensazione non troppo piacevole. La band si congeda una prima volta dopo avere suonato “Drugs Don’t Work” e “New York”, che sul finale diventa più incalzante e dura, arricchendo di una sfumatura le atmosfere musicali della serata.
Dopo una breve pausa Richard Ashcroft si ripresenta da solo con la chitarra acustica, indossando la giacca e gli occhiali scuri che durante il concerto si era tolto. Esegue da solo “History”, mentre per il singolo di lancio del suo album, “Song For The Lovers”, si avvale di radi interventi del trombettista. A conclusione del concerto giunge il più grande successo del cantante, “Bitter Sweet Symphony”, che viene praticamente suonato due volte di seguito, prima dal solo Ashcroft, poi dalla formazione al completo. Complessivamente lo spettacolo ha rispettato le non alte aspettative: Ashcroft ha evidenziato le sue buone qualità di cantante, in grado di sostenere una performance anche senza l’ausilio di un accompagnamento massiccio, che comunque è stato presente la maggior parte del tempo; i brani infine, pur di discreta fattura, si sono dimostrati privi di uno spessore tale da perdurare nel tempo e nell’interesse dell’ascoltatore.