PJ Harvey ha visitato New York prima di incidere il disco e si sente. Si sente nei testi che citano strade, quartieri e luoghi della metropoli americana, e si sente nella musica, nervosa e spigolosa come agli esordi. E’ così sin dall’iniziale “Big Exit”, ma la stessa irruenza si incontra anche in “The Whores Hustle And The Hustlers Whore”, nei sapori blues di “This Is Love” e nella bellissima e urticante “Kamikaze”. Tutto così lontano dal precedente “Is this Desire?” che troppo spesso finiva per smarrirsi in brani senza slancio e senza passione.
Non a caso l’artista gallese ha scelto di circondarsi soltanto dei fidati collaboratori Rob Ellis e Mick Harvey, tra le altre cose membro dei Bad Seeds di Nick Cave, e di chiedere aiuto a Thom Yorke dei Radiohead.
Ne è nato un disco estremamente personale, ispirato e compatto, che racconta una città a volte violenta e disperata, a volte malinconicamente solitaria.
Un luogo in cui tuttavia si riesce anche ad abbandonare la propria cattiva fortuna, come nella ballata “Good Fortune”, vicina come mai prima a Patti Smith, e nella sensuale “We Float”. Una città con una faccia notturna e tormentata. Infatti i momenti più toccanti del disco sono racchiusi in suoni essenziali e intimi: la fragilità di “A placed Called Home” e “Beautiful Feeling”, nonchè il fascino oscuro di “This Mess We’re In”, la fine di una storia d’amore raccontata dalle voci di Thom Yorke e della stessa P.J. Harvey in una canzone tenera e straziante.
Un grande disco di una grande artista.
(M&R)
26 Ott 2000
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