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“Insieme abbiamo scritto canzoni e poi le abbiamo eseguite, il che a volte è stato incredibile, ma ora succede di più: non mi sento tanto bene e questo significa che da ora in poi non farò più parte del gruppo”. Isaac Wood, 2022.
Dalle origini alla consacrazione: la parabola iniziale
Il debutto del 2021 “For The First Time” aveva visto la band di Cambridge impegnata in un post rock fatto di linee ritmico-melodiche ripetitive, quasi ossessive, infarcite da improvvisi cambi di tempo e dalla voce desolata di Isaac Wood. Il post- punk iniettato nella maggior parte del disco è affiancato dalle strutture caotiche e anticonvenzionali che aggiungono il rock sperimentale alla lista dei generi di questo disco. Insomma un tripudio di creatività contraddistingueva la band nella scena di Windmill del
2021 e faceva presagire un futuro glorioso.
Nel 2022 esce “Ants From Up There”, un disco che spazza via il lato più sperimentale del primo album per lasciare spazio a brani art-rock che portano sulle spalle arrangiamenti perfetti, performance entusiasmanti e la voce ,che da desolata passa ad essere viscerale. Vere e proprie suite costellate di sassofoni, violini, fiati che nei casi di “The Place Where He Inserted the Blade”, “Concorde” e “Basketball Shoes” , si concludevano in climax memorabili. In “Ants From Up There” i Black Country New Road prendevano l’indie rock a mo’ di suite dai Car Seat Headrest di “Teens Of Denial” , il cantato lamentoso da Jeff Mangum in “In The Aeroplane Over The Sea”, la malinconia di Sufjan Stevens, le strutture
degli Arcade Fire e un pizzico di prog rock preso in prestito dai momenti più melodici dei black midi per arrivare a creare un suono che rimane una pietra maestosa nel rock degli anni ‘20.
Una frattura dolorosa: l’addio di Isaac Wood
Ma poco prima dell’uscita dell’album il cantante e frontman Isaac Wood dichiara la sua dipartita dalla band per problemi di salute mentale. Assistiamo così a una ridistribuzione dei ruoli all’interno del gruppo con il cantato che passa alla bassista Tyler Hyde, alla pianista May Kershaw e alla violinista Georgia Ellery; tre nuove voci, tutte al femminile. Ma il cantato non è la più grande novità del terzo album dei Black Country New Road, “Forever Howlong”. “Besties”, il primo singolo del disco è un impasto coeso di indie pop, chamber pop e progressive pop, l’arrangiamento è denso e ben curato con almeno tre modulazioni (di cui una ai toni lontani). Un brano piacevole, divertente ma anche estremamente creativo e ambizioso.
Il pop ambizioso che guarda al futuro
Pop è sicuramente una parola che affianca la maggior parte dei generi di questo album. Un pop fatto di strumenti appartenenti alla musica da camera (chamber pop), di contrappunti vocali e di clavicembali (baroque pop) e di tempi dispari e morbidi virtuosismi strumentali (progressive pop). Il sound è potente, teatrale, l’ansia tormentata che guidava i precedenti due dischi sembra essere perlopiù svanita.
Ciò che in parte rimane di “Ants From Up There” sono i finali carichi, gonfi che continuano a funzionare bene ma che rimangono sicuramente meno memorabili di quelli del secondo disco.
La vena progressiva dell’album si sente bene in “Two Horses”, “Nancy Tries To Take The Night” e nel finale di “For The Cold Country”. “Nancy Tries To Take The Night” inizia con un arpeggio malinconico che suona storto ma non è altro che un 4/4 abilmente accentato, stratagemma che viene ripreso per gran parte del pezzo, nel quale sedicesimi irregolari provano a ingannare l’orecchio in tempi dispari che però si verificano effettivamente per un paio di battute. L’apice di questo “inganno metrico” si ha quando la batteria in 4/4 si sovrappone al riff che simula un 5 /8 dando così l’impressione di una poliritmia (momento sicuramente più prog dell’album). “Happy Birthday” mescola delle strumentali notevolmente curate a una voce che si fa sempre più cupa e che viene campionata nel finale per dare via al climax più riuscito del disco.
Verso la fine del lavoro troviamo brani meno indovinati, “Forever Howlong” (la title track) ci mette tre minuti e mezzo per giungere a un ritornello poco incisivo che si esaurisce velocemente e che porta a un finale che vuole apparire commovente ma che risulta essere solo blando. La traccia finale del disco ha il pregio di avere diversi momenti interessanti ma risulta non essere all’altezza della maggior parte degli altri pezzi; le delicate voci armonizzate alla fine non sono abbastanza e l’ultimo pezzo del disco finisce per essere un po’ insapore.
La “stratificazione pop”, una strada per il futuro
Le performances strumentali sono come al solito degne di nota e in generale gli arrangiamenti sono dettagliati e gli strumenti ben stratificati. La produzione è calda e più tendente (ovviamente) al pop di tutti gli altri album della band con, se dovessimo trovare una pecca, un eccesso di pomposità nella cassa della batteria che finisce a tratti per essere (forse volutamente) un po’ avanti nel mix e immotivatamente eccentrica.
E’ un disco che conferma l’abilità creativa della band che anche dopo l’allontanamento del
frontman riesce a sorprendere con un chamber pop solido e ambizioso e a farci sperare in
dischi sempre migliori.
80/100
(Federico Tranfaglia)