Quest’anno, per una serie di brutti motivi, non ho potuto mettermi spesso a cercare musica nuova. Ma è stato inevitabile trovarne e apprezzarne tanta lo stesso. Chiamiamola bolla, chiamiamoli algoritmi, amici bravi, tizi alla radio piuttosto illuminati. Mi sembra come quando non ero interessato ad avere un gatto ma c’era questo gatto, tanti anni fa, che voleva farmi cambiare idea. E vinse ovviamente lui a mani basse. Questo solo per dire che la musica di quest’anno è stata bella anche se mi sembra quasi di non averla mai cercata. Più bella di tutto il resto, forse, o comunque più bella del previsto.
Qua sotto vado veloce sugli album che ho amato e come d’abitudine mi soffermo un po’ sulle canzoni che hanno saputo portarmi via un minimo.
È un filo più pulita della prima versione e mi piaceva la loro formazione a cinque. Però anche così va di diritto nelle parti alte.
Bibio è sempre un nome un po’ a margine. Ora bucolico, ora groovy, qualche canzone memorabile ce l’ha sempre.
Il punto è che queste cose qui a nessuno possono venir bene come agli inglesi.
Pop onesto del ventunesimo secolo ma con in testa i Cure del 1980.
Dance like nobody’s watching. Luis Vasquez ballerino.
Ora, dimmi se non è tutto al posto giusto in una canzone così.
Io non credo che i piazzamenti altissimi di “Renaissance” in quasi tutte le poll qui in giro siano un mero premio alla carriera.
Non ho ancora capito del tutto che cosa distingua questo da un disco a nome Radiohead. Però posso dire che in tracce così c’è Thom Yorke al suo meglio.
Tra i tanti giovani gruppi inglesi di questi anni io vado per loro, dopotutto.
Se dico che è la più brava di tutti non penso francamente che si offenda nessuno.
Tutto. Il video stralunato di Natalie Portman, il pop francese del cantante dei Phoenix e l’italianità da estate nostalgica e irripetibile quando arriva Giorgio Poi.
In questo caso pare si sia cancellato da solo. Un gran singolo e un album pubblicati e poi purtroppo spariti da ogni piattaforma. Anche lo streaming non ufficiale qui sotto, per dire, potrebbe svanire tra cinque minuti.
Una delle mille facce dei Sault. Protagonisti di quest’anno non solo in termini di quantità.
Ogni tanto Danger Mouse e James Mercer lo rifanno. E stavolta con davvero pochissime attenzioni intorno.
Magari “Mr Morale” sarà più confermativo che innovativo ma tracce come questa sono, appunto, da manuale.
Loro riescono ad annientare anche il mio proposito di non usare più di una traccia per artista in questa classifica.
Il momento più alto, per me, del miglior disco italiano di questi tempi.
Chitarre, sensibilità pop e melodie a spirale. Migliorano a ogni capitolo e in canzoni come questa allargano la tavolozza.
Potenziale instant classic in un disco (“It’s Almost Dry”) che va dritto al punto svariate volte.
Sorpresa agrodolce dalla Danimarca. Prog, dreampop e tante altre cose (in)conciliabili in questo secondo lavoro che è praticamente un ep (“Excessively Worthwhile”).
Riesco anche a perdonarle l’ep con le canzoni di Natale. Ciò per dire quanto io adori quest’artista unica.
Ho fatto una testa così a tutti con questa canzone. A questo punto non mi sembra più una canzone e basta.
Era la sigla di un programma Rai della domenica sera, anno 1985. L’amai come solo a dieci anni di età si possono amare le cose. Alla TV dei nonni in bianco e nero con l’audio sgranato. D’altronde Tempera e Albertelli (è in buona parte opera loro) erano il mio mondo musicale da “Ufo Robot” a “Capitan Harlock”. Poi non ebbi più modo di sentirla o ricordarla. Fino al 2022.