Le Luci della Centrale Elettrica, Teatro Valli, Reggio Emilia, 20.12.2018

Quando è uscito “Terra”, quarto disco di Le Luci della Centrale Elettrica, il messaggio era già chiaro. Qualcosa era cambiato e si era aperto un nuovo mondo nella musica e nella vita di Vasco Brondi. Lo si percepiva dalla scelta di copertina. I colori e le sfumature annebbiate dei dischi precedenti, che hanno una matrice comune nella scelta stilistica di copertina, avevano lasciato spazio a quelli forti e nitidi dei Seven Magic Mountains, sette pietre fosforescenti, che sembrano dei monoliti e che sorgono nel deserto del Nevada, opera di Ugo Rondinone. Le ‘carcasse’ di paesaggi urbani apocalittici lasciano spazio alla rinascita della terra, che seppur contaminata dall’essere umano trova una sorta di equilibrio con esso. Come quei massi che, non si capisce come, riescono a stare in piedi. Per anni e anni.  E guardando la fotografia di Gianfranco Gorgoni per “Terra” prendi anche un po’ fiato. Vasco Brondi ha ufficialmente comunicato la fine del suo progetto e lo fa salutando il suo pubblico con un ultimo tour nei teatri d’Italia. Nei luoghi più belli, patrimonio di un’Italia che ancora non ha capito come sfruttare la bellezza dell’arte, della poesia e del tempo. Vasco però ci mette tutto dentro a questo tour: 10 anni di sperimentazioni, una band incredibile, la poesia (come quella di Roberto Bolaño), i suoi “Santi Protettori, le sue ispirazioni letterarie, i viaggi tra “La Terra, l’Emilia, la Luna” e poi quello fatto in treno, da Ferrara a Carpi, per scoprire un’insolita “Emilia Paranoica”. Dalla provincia deturpata Vasco Brondi entra dentro al cuore delle città, con un ultimo colpo da maestro per raccontarsi in modo onesto e sincero al suo pubblico. Ti dice tutto tra un pezzo e l’altro, anche di quando saliva sul palco sbronzo marcio o di quella volta che avrebbe voluto fermare il tempo, prima di entrare a casa di Giorgio Canali (CSI).

Apre con “Coprifuoco” e al collo ha la sua chitarra acustica con quello scotch che riporta la scritta del suo progetto e che da anni mi ricorda la chitarra di Woody Guthrie. Dietro a immaginari musicali, letterali, poetici e insoliti questo cantautore ci si è sempre un po’ nascosto e lo ha sempre ammesso. E se oggi ancora la voce a tratti sembra mancare, dietro di lui Anselmo Luisi (percussioni), Rodrigo D’Erasmo (magnifico già negli Afterhours), il bravissimo Andrea Faccioli (chitarre già per i Baustelle), Gabriele Lazzarotti (già bassista di Daniele Silvestri) e Daniela Savoldi ( violoncellista italo-brasiliana) riequilibrano i 7 “Chakra” . Sette come quei monoliti colorati che lo hanno incuriosito durante un viaggio in Nevada. Perché dal 2008 Brondi traccia coordinate di viaggi interstellari, tra lui e l’Universo e le mette nero su bianco. Come ha fatto con l’angoscia della generazione degli Anni Zero, figlia degli anni Novanta, fragile esercito che si lava i denti con le antenne della televisione e si arrampica sulle impalcature per prendere il sole. Giovani che cercanoMacbeth nella nebbia” e hanno bisogno di vomitarsi addosso le parole per ritrovarsi. “Per Combattere l’acnearriva a metà concerto, la band lo lascia solo per questo tuffo nel passato e prosegue con “La gigantesca scritta Coop” e in sala Vasco sa che c’è anche Massimo Zamboni (CCCP, CSI) e quando parla dei CCCP quasi gli trema la voce, così come quando canta “Amandoti”. Per il resto, su quella sedia sembra in perfetto equilibrio con se stesso, anche se poi chiude gli occhi come a ripetere un mantra. La barba incolta alla George Harrison, che nel 1965 iniziò a cercare una propria identità musicale al di fuori del contesto dei Beatles, abbracciando il mito del suo maestro indiano Ravi Shankar. Due ore abbondanti di musica, parole, confessioni e il pubblico che dopo il bis si alza in piedi. Le Luci della Centrale Elettrica potrebbe lasciare un gigantesco ecomostro nel panorama musicale, come quello che appare sulla copertina di “Canzoni da spiaggia deturpata”, perché di qui a domani non sappiamo ancora cosa ne sarà di Vasco Brondi. Ma quando un musicista trova il coraggio di cambiare (faccia e identità), qualsiasi vuoto si lascia è destinato a prendere una nuova e coloratissima forma. Perché Brondi ha spento sì Le Luci della Centrale, ma per osservare quelle naturali della Terra. Chapeau