TYCHO, “Epoch” (Ghostly International, 2016)

tychoLa sonda Schiaparelli si è schiantata su Marte a 300 km/h. Come un novellino neopatentato qualsiasi. Non interessa che siano arrivati o meno i dati attesi, quella di Schiaparelli è stata una missione da schiappa, mediaticamente. Però ha acceso un riflettore su Marte, il pianeta rosso, certamente il pianeta più fascinoso del sistema solare, al di là del satellite Luna.

Nulla è per caso, e l’epopea di Schiaparelli dello scorso 19 ottobre è coincisa con i giorni in cui più ascoltavo “Epoch” di Tycho, un album a cui ho attribuito fin da subito una natura marziana. Echi di Laika (“Glider”), aperture di orizzonte alla Washed Out (“Horizon”), complessità astrali alla Boards Of Canada (“Epoch”) nell’orbita più complessa di una musica elettronica che elettronica non è, strutturata su mappe melodiche molto spesso non segnate dal synth bensì da una chitarra elettrica pizzicata (“Local”).

Scott Hansen disegna panorami che si costruiscono da soli durante l’ascolto come un radar, rilievi naturali ma sconosciuti, come di un pianeta da esplorare. Un’astronomia musicale di umore post-rock ma innegabilmente contemporanea, fatto di quel mix umano-macchina in cui tanto eccelle ad esempio uno come Caribou.

C’è da indossare subito la tuta ed avventurarsi nell’epoca marziana tratteggiata dal californiano. Non aspettate la prossima missione della NASA.

81/100

(Paolo Bardelli)