Intervista a Mathew Jonson (Cobbleston Jazz)

MATHEW JONSON (COBBLESTONE JAZZ)
intervista di Tommaso Artioli 

traduzione di Valeria Stenta 

Dopo l’uscita di “The Modern Deep Left Quartet” abbiamo parlato con Mathew Jonson, anima, con Danuel Tate e Tyger Dhula, del progetto Cobblestone Jazz.
Ne sono uscite un rapida analisi su generi e sottogeneri utili per definire il suono attuale del collettivo, una disamina delle novità a partire dal contributo di The Mole in questo ultimo lavoro, un paio di flash sulle influenze e sull’elettronica dei ’90.
Il produttore e co-fondatore della label canadese Wagon Repair ci ha esposto, dunque, la sua versione dei fatti non solo sui Cobblestone Jazz ma anche su chi li ascolta.


“The modern Deep Left Quartet” è un album che, sintetizzando, mi sentirei di definire house. Credi che possa essere descritto entro questi termini?

Sicuramente si, in certi momenti è House. Tutti componiamo con influenze molto diverse tra loro, anche se penso che per me sarebbe difficile classificare questo album secondo una categoria ben precisa.

Come è stato concepito quest’ultimo album rispetto al precedente “23 Seconds”?

E’ diverso perchè stavamo lavorando con The Mole (Colin De La Plante, ndr), il che ha comportato una certa differenza nel sound. Abbiamo composto quello che ci sentivamo al momento, non c’era propriamente uno schema concettuale. Ogni traccia ci sembrava qualcosa di completamente nuovo. Ci siamo resi conto che alcune tracce non sempre suonavano come qualcosa che avremmo potuto realizzare a cose normali. E’ stato veramente eccitante!

Immagino che ognuno di voi abbia portato il proprio contributo alla formazione anche in termini di ascolti personali. Quali sono gli ascolti che influenzano maggiormente ognuno di voi?

Ascoltiamo tutti i tipi di musica. Potrei dire che Keith Jarrett, Miles Davis, Herbie Hancock sono solo alcuni degli ascolti principali.

Qual è il legame più forte, se c’è, tra le vostre attuali produzioni e le diverse espressioni della musica elettronica degli anni Novanta?

Personalmente mi sembra che negli anni ’90 siano stati soprattutto gli anni del Drum&Bass. Doc Scott, J Majik, Source Direct, Hype, Dillinja tanto per nominare solo alcuni dei musicisti che sono stati più importanti per me.

Qual è l’album che ti viene subito in mente quando pensi alla techno o alla musica da club in genere?

“Bodily Functions” di Matthew Herbert. E’ qualche settimana che penso spesso a lui, da quando l’ho sentito suonare di nuovo quando ero a Mosca poche settimane fa.

Come immagini l’ascoltatore tipo di “The Modern Deep Left Quartet?

Open minded.