STEREOLAB, “Instant Holograms On Metal Film” (Warp, 2025)
Matteo Maioli
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D’un même coeur d’une même forceNos intentions sont envoyées à l’univers
(“Le Coeur Et La Force”)
Una band mai del tutto ferma
Gli Stereolab sono finalmente tornati con il primo album in studio dopo quindici anni. Instant Holograms On Metal Film esce per l’etichetta della band Duophonic UHF Disks e la mitica Warp Records. Le dodici canzoni più intro portano la firma dei titolari e fondatori Laetitia Sadier e Tim Gane, eseguite dagli ex fidanzati con l’aiuto di Andy Ramsay, Joe Watson e Xavi Muñoz, che compongono l’attuale band nella sua dimensione live.
Tutto prende forma lo scorso 2 aprile 2025, quando alcuni fan hanno ricevuto un pacco con dell’“unsolicited Stereolab material”, recanti all’interno il sette pollici del brano ”Aerial Troubles”. Nel 2019 la band aveva pubblicato edizioni ampliate e rimasterizzate dei sette album ufficiali, in concomitanza con la prima esibizione dal vivo dopo nove anni. Da lì si sono susseguiti tour, nel rispetto degli impegni di Gane e Sadier, ampliando inoltre il catalogo con le raccolte Electrically Possessed [Switched On Vol 4] nel 2021 e a stretto giro Pulse Of The Early Brain [Switched On Vol 5].
Visionari e magnetici come negli anni novanta
Il disco ha una opener in stile Warp, nell’intelligence techno à la Plaid di “Mystical Plosives”, per poi partire con il loro beat caratteristico unito a sensazioni exotica e funk morbido nella magnifica “Aerial Troubles”. Leggendo i titoli si può carpire il mood impegnato e di denuncia sociale che permea l’album e che si fa forte in “Melodie Is A Wound”, con liriche inequivocabili, “Cultivate ignorance and hate/The goal is to manipulate/Heavy hands to intimidate/Snuffout the very idea of clarity/Strangle your longing for truth and trust“. Spazio nel finale a una jam ballabile e krauta, a esorcizzare il messaggio cupo del brano.
“Immortal Hands” tratta il folk alla maniera degli Air, dove “Electrified Teenybop!” indugia su atmosfere elettroniche da soundtrack; “Vermona F Transistor” ci porta ai tempi di Dots And Loops, tra fiati trascinanti e vbrazioni carioca. “Transmuted Matter” si candida come “Aerial Troubles” a essere un highlight del lotto: puri Stereolab, visionari e magnetici, con una Sadier irresistibile e Tim Gane alla chitarra a regalare intarsi preziosi. La successiva “Esemplastic Creeping Eruption” osa anche di più in ruvidezza, con un deciso quattro quarti di batteria, synth floydiani e l’impressione che dal vivo possa regalare ulteriori emozioni.
La sequenza di pezzi finali è più di maniera, eppure mai stucchevole o noiosa: ogni composizione ha le sue peculiarità e il marchio unico degli Stereolab, che cambiando formula rimangono sempre uguali nella loro originalità, eleganza e visione di una musica “totale” (le due versioni di If You Remember I Forgot How To Dream). Chiedono all’ascoltatore un’ora del suo tempo, abbracciandolo, non di meno incuriosendolo.
A Holograms On Metal Film collaborano Cooper Crain e Rob Frye dei Bitchin Bajas, il primo anche in veste di produttore, il cornettista Ben LaMar Gay (fiore all’occhiello di International Anthem), Holger Zapf (Cavern Of Anti-Matter), Marie Merlet e Molly Hansen Read. Due date estive per la band, che ascoltato il nuovo disco vi consigliamo di non perdere: martedì 10 Giugno a Ferrara Sotto le Stelle e venerdì 11 Luglio al Siren Festival di Cagliari.
74/100
Foto di Joe Dilworth, cortesia dell’ufficio stampa Spin!Go
Se potessi ripercorrere in un attimo, nuotando controcorrente, le rapide di questo fiume oramai giunto al suo estuario, nella estrema fissità di questo mio prossimo viaggio nella noia orizzontale, sceglierei gli anni in cui la volta celeste non era altro che un enorme lenzuolo fatto a cielo e la luna una palla polverosa gettata nel vuoto e catturata con le unghie dall’egoismo del pianeta Terra. E noi, bimbi, cadevamo con essa per sempre, aggrappati in un infinto sprofondo gli uni agli altri, grazie a un gomitolo di lana nera. I grandi dimenticarono in fretta di avere un mondo con certe stelle enormi, sopra il capo, da osservare, mentre noi sacrificavamo la nostra noia migliore per costruire ponti sospesi nello spazio che ci allacciassero a un’agognata luna. La dipingemmo butterata e funesta, con maremoti sulla superficie di un ponto che non era mai tranquillo, ma tutta una schiuma fremente di gorghi e mostri marini. Nuovi esseri di ordinaria malinconia calpestavano un tappeto soffice come zucchero filato sparso su una teglia, in cui si radicavano piante cresciute dolci come torroni. Altre volte immaginammo un balzo da gigante come in mongolfiera, le tante mongolfiere tipiche di una domenica d’estate, un balzo che ci consentisse di fuggire all’avarizia terrestre e alle sue costrizioni. In anni in cui razzi enormi arrugginivano in volo, pensammo a uno sgangherato proiettile cavo sparato negli occhi della luna come nei film dei Meliès, in cui potessimo accovacciarci per il viaggio, assieme ai nostri migliori amici. Ma poi venne il tempo di un leggero disincanto, e, anche sognando a occhi aperti, non potevamo far altro che immaginarci tute e scafandri e missili scagliati a violentare qualche nuovo cielo. E poi, al ritorno, schivare incredibili uragani e tempeste, per posarci placidamente in un mare che ci accogliesse come un telo.
Eravamo certo molto giovani e molto felici e pensavamo, con rabbia, di non dover invecchiare mai.
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14 settembre 2010
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