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Il terzo disco in studio dei Pavement, Wowee Zowee, il primo passo successivo ai due dischi che li hanno resi immortali, uscì l’11 aprile 1995. È un doppio album caotico, centrifugo e brillantemente sregolato, nella quale il gruppo mostra più che in qualsiasi altro lavoro tutte le sue variegate e complicate anime. Non sono pochi gli amanti della band americana che lo considerano il miglior lavoro del gruppo. Tutto in esso sembra muoversi in maniera misteriosa e ambigua, e la convinzione con la quale la band si cala nei brani è efficace e magnetica. Stephen Malkmus, Spiral Stairs e soci non erano mai stati così affiatati e ispirati.
Dopo il successo di Crooked Rain, Crooked Rain, l’album che, nel 1994, aveva per la prima volta lanciato il gruppo originario di Stockton nel mainstream radiofonico grazie a una raccolta di canzoni – su tutte il seducente singolo “Cut My Hair”, il loro più grande successo – nelle quali la band aveva saputo instillare l’attitudine lo-fi del debutto Slanted and Enchanted dentro melodie e ritmi pop e rock dai filamenti zuccherosi e catchy, i Pavement potevano decidere verso quale universo discografico muoversi. Da una parte avrebbero potuto abbracciare e accettare una metamorfosi commerciale che non sarebbe stata spiazzante né scandalosa, firmando, magari, un contratto con una major e proseguendo quel naturale percorso che il loro secondo LP sembrava indicare per loro. I Pavement, però, non avevano alcun interesse a imboccare questa strada.
Otto mesi dopo l’uscita di Crooked Rain – e il suo conseguente, inaspettato e meritato successo – e a seguito di un tour di due anni senza pressoché alcuna pausa, i Pavement entrarono in uno studio di Memphis per incidere il loro nuovo disco: per la prima volta tutti e cinque i membri del gruppo erano insieme nella stessa stanza per registrare nuova musica. Partendo da un nucleo di brani che erano già stati provati e registrati in forma ancora abbozzata durante la creazione di Crooked Rain o eseguiti dal vivo dalla band nei mesi precedenti, Wowee Zowee si muove come un serpente a sonagli che scivola ozioso in un deserto assolato. Intense ma mai estenuanti, le sessioni d’incisione del disco furono spontanee e rilassate, un vero e proprio caos regolato o equilibrio caotico che avrebbe permesso alle tante nature della band di emergere in modo imprevedibile e sorprendente. Dirà Malkmus di queste giornate che «[t]he less it fits together, the better». Le incisioni vengono completate in una decina di giorni nel novembre ’94. Una prima proposta di Scott Kannberg prevedeva di ridurre tutto il materiale registrato ai dieci brani considerati migliori dal gruppo. Malkmus, invece, desiderava che l’album documentasse l’esplosione creativa e la versatilità policroma che le numerose composizioni incise in quei giorni mostravano. Fu quest’ultimo a riuscire a convincere tutti: il disco, contenente diciotto pezzi distribuiti in tre lati vinilici, con il quarto lato lasciato volutamente vuoto, nei suoi cinquantacinque minuti di musica è il più lungo della discografia dei Pavement.
Trent’anni dopo quest’avventura quali pregi ancora possiede un album di snodo nella carriera di un gruppo così geniale e babelico come è Wowee Zowee, il cui titolo storpiato nella grafia richiama, con un’ironia programmatica, al brano “Wowie Zowie” di Frank Zappa? La sua influenza, inizialmente sottovalutata, è stata ormai riconosciuta e recepita a tal punto che molti sono i critici che considerano questo disco alla pari dei primi due diamanti del gruppo. Le sue strane e affascinanti derive seducono e conquistano ancora oggi con rinnovato interesse. I generi che attraversa diventano contenitori manipolabili, cassette degli attrezzi per costruire mobili scomponibili e ricomponibili, dove le fonti d’ispirazione e i punti di riferimento nel passato e nella contemporaneità si mischiano e si rincorrono. Si rischia di venire travolti dalle strade che si dipanano dal centro della città di Wowee Zowee, sentieri strani e poco calcati che, come per magia, si modificano se provi a percorrerli per il verso contrario.
Nel folk gaio e sognante che scorre nelle vene del pezzo d’apertura, la sagace “We Dance”, Malkmus, con un curioso accento britannico, invita a «pick up some Brazilian nuts for your engagement»: è uno dei tanti fils rouges che caratterizzano il disco, che qua e là riemergono in forme rinnovate e con ritmi e abiti quasi sempre differenti. Nel country disteso e visionario di “Father to a Sister of Thought” l’immaginario disorientante e fumoso delle liriche di Malkmus si insinua in vortici di chitarra avvolgenti e attraenti. I lo-fi costruiti ad arte dalle distorsioni e dai feedback minuziosamente preparati sono assorbiti dalle melodie raffinate e zuccherose che Malkmus e soci tessono con dovizia e con grazia: così avviene, per esempio, nelle splendide “Grave Architecture” e “Grounded”, gioielli di inestimabile valore, e nei graffi sonori potenti e cristallini come quelli che abitano “Serpentine Pad” e “AT&T”, che costruiscono panorami vulcanici mozzafiato. Sempre in quella terra di confine, atmosfere pop-rock, furiose sfumature punk e andamenti melodici delicati e appassionanti muovono “Rattled by the Rush” e “Best Friend’s Arm”. L’impetuosa e scatenata “Half a Canyon” finisce con Malkmus che urla come un pazzo. Fu lui stesso, in seguito, a raccontare che urlò a tal punto da spaventarsi. Non manca neppure il power-pop più dolce e divertito che si possa desiderare con “Kennel Districts”, mentre più vicine a un post-rock nebuloso e stratificato sono l’intensa “Motion Suggests Itself” e la seriosa e claudicante “Fight This Generation”.
Tanto quando uscì quanto oggi, Wowee Zowee è un’enciclopedia in fieri dei Pavement, il luogo degli esperimenti sempre in divenire e mai del tutto terminati, la scienza che mette in discussione sé stessa e che con continui capricci si ripiega su di sé fino a trasformarsi in un rebus. Mentre i primi due capolavori della discografia del gruppo americano rappresentano le tantissime sfumature che la natura dei Pavement era in grado di avere, Wowee Zowee è l’esperimento nel quale la natura stessa del gruppo tenta di mettersi in discussione e di giocare con chi è disposto ad accettare la sfida. Ne escono tanti momenti eccezionali e alcuni episodi un po’ confusionari ma intriganti e invitanti proprio per la loro attraente precarietà. A distanza di trent’anni, si può forse dire che i Pavement hanno dato seguito a due classici con un ulteriore classico.