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7. Lucy Dacus ritorna con un nuovo disco, Forever Is a Feeling
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ma occupa il gradino più basso di questa lista perché, per chi scrive, questo lavoro è piuttosto fiacco e piatto, se non, a tratti, addirittura banale e sdolcinato, ben lontano dal cantautorato eccellente che Dacus aveva sfoggiato in Home Video o nel disco delle Boygenius. Dove sono finite gemme come “Thumbs” o “True Blue”, ballate calde e coinvolgenti nelle quali il personale e l’universale si intrecciano come in una pièce teatrale d’altri tempi? Pochi momenti, come “Limerence” e “Bullseye”, risultano apprezzabili. Fin troppi, purtroppo, i miei sbadigli ascoltando questo album.
6. I Deafheaven
ripartono con un disco, Lonely People with the Power,
che li riporta all’interno di quei suoni nebulosi e sincopati dei loro migliori lavori, allontanandoli parzialmente da quella rivoluzione silenziosa e in parte anticipata negli anni a essa precedenti con intriganti indizi ed episodi qua e là che era stata Infinite Granite. Non sono mai stati fuori forma o poco ispirati e continuano in questa direzione, una sicurezza per quanto riguarda talento, impegno e grinta.
5. Ritornano anche i Black Country, New Road con Forever Howlong,
il primo disco in studio successivo all’abbandono della band da parte di Isaac Wood. Dare un degno seguito ad Ants from Up There, il loro splendido sophomore album pubblicato nel 2022, era cosa difficile, ma a giudicare dai singoli “Besties” e “For the Cold Country”, con la voce levigata e frizzante di Georgia Ellery, i risultati sono più che buoni. Di questo nuovo lavoro abbiamo ascoltato ancora poco, ma quello che finora è stato condiviso sembra essere di ottima qualità. Siamo tutti contenti che i BCNR siano ancora qui.
4. Destroyer non smette di stupirci
: Dan’s Boogie
è il nuovo album del progetto folk-rock a tinte un po’ jazzate del canadese Dan Bejar, musicista versatile e coraggioso che da vent’anni ci regala perle “sparse”, da raccogliere con cura per chi ha curiosità e pazienza, dalla difficile lettura, spiazzanti e polifoniche. Il sound selvaggio e al tempo stesso prezioso e curatissimo di Bejar è al centro anche di quest’ultimo lavoro, nel quale spiccano episodi deliziosi e conturbanti come “Bologna”, con la voce anche di Fiver, e “Sun Meets Snow”. Bejar sarà in Europa tra due mesi, al Primavera e poi a Parigi, a Manchester, a Bristol e a Londra.
3. L’incandescente elettronica di DJ Koze riparte da Music Can Hear Us
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l’ennesimo progetto ambizioso e stratificato del produttore Stefan Kozalla, che mescola tinte e tappeti sonori elettronici tipicamente centro-europei e segnatamente tedeschi a vertiginosi esplosioni kraut che sono la necessaria evoluzione dei primi per innestare il tutto entro ritmi avvolgenti dai colori global e improvvise aperture pop melodiche e sognanti. Anche chi segue poco il genere e l’artista non può che rimanere ipnotizzato e sedotto dai suoi beat e dai suoi arrangiamenti, cosa che può valere per un po’ tutti i suoi album. Momenti come quelli che regalano “Buschtaxi” e “Unbelievable” sono davvero eccezionali. Nei prossimi mesi potrete trovarlo a Londra, al Primavera, a Parigi e, volendo, negli States.
2. L’avant-garde allucinata di aya splende nel nuovo disco dell’artista inglese intitolato Hexed!
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un viaggio metamorfico e cronenberghiano nel corpo e nell’anima della sua autrice, dove la techno incontra il pop non in un salotto confortevole ma in un tunnel stretto e buio nel quale ti sembra di soffocare lentamente. Non mancano, però, le aperture ariose e brillanti verso mondi possibili nei quali è possibile (ri)costruire dalle basi la propria identità senza ostacoli né pregiudizi. Il magma incandescente di “Off to the ESSO” o i beat robotici e alienanti di “Droplets” sono solo alcuni dei momenti più esaltanti di questo straordinario percorso. In Italia aya sarà al Nextones, vicino a Domodossola, a metà luglio.
1. Perfume Genius non smette di ampliare il proprio spettro sonoro e le sue prospettive liriche nel nuovo disco Glory
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nella cui copertina visionaria e ambigua Mike Hadreas è piegato su se stesso, quasi stravolto e dilaniato; il suo corpo cambia, si inarca e si moltiplica anche nelle undici canzoni contenute nel disco. Questo è un classico della poetica di Hadreas, che affronta da sempre tutti questi temi, declinandoli, però, in ottiche sempre differenti e originali. Qui la gloria e l’ambizione si trasformano in totem che non solo possono essere scansati ma anche, più semplicemente, ignorati alla radice per potersi concentrare su ciò che di altrettanto effimero ma costituente nutre la nostra anima e la nostra mente. Si aprono, si inarcano, si chiudono e si sfidano i pensieri e le paure di Hadreas, che nel parlare della genesi di questo album ha descritto come i timori di ciò che potrebbe attenderlo là fuori lo inducono a chiudersi in sé e nei luoghi che percepisce come sicuri e confortevoli. Non è, però, un ritiro pacifico e silenzioso, bensì una battaglia senza fine con quello che di noi non riusciamo ancora a capire o accettare. L’avant-pop metafisico e luminoso di “No Front Teeth”, insieme ad Aldous Harding, e di “Full On” si intreccia a quello onirico e misterioso di “Capezio” e al cantautorato minimale di “Hanging Out” e di “Glory”, dando vita a un disco splendido. Non passerà in Italia, Hadreas, ma in autunno tornerà in Europa, e nel nostro continente toccherà una dozzina di città.