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Un teatro con vista sulla luna
La data londinese di The Waeve, la nuova band di Graham Coxon (Blur) con la fidanzata Rose Elinor Dougall (ex-Pipettes) era molto attesa, e lascia a freddo molteplici emozioni e considerazioni. Accompagnati da Joe Chilton al basso, Thomas White alla batteria e Charlotte Glasson al sax e violino, i due hanno dato mostra del loro già vasto canzoniere, stregando i milletrecento presenti con timidezza, simpatia e una musica totale che fonde insieme Burt Bacharach, il David Bowie dei 70 e Pink Floyd.
Apre il duo anglo-americano dei White Magic For Lovers, Thomas e Alfie White, con una ricetta di folk impregnato di psichedelia gentile che al momento mi ha convinto di più in studio. Le canzoni di The Book Of Lies (2024) difettano di mordente, del resto la batteria è suonata con una loop station e la scaletta poteva equilibrare i momenti dinamici a quelli più riflessivi, che si sono accodati a una bella versione di “Lullaby” dei Low, mentre la band si era presentata con “Drop”, brano di Hope Sandoval del 2001. Da ricordare “The Boy From The Bookshop”, vibrazioni a metà tra i Turin Brakes e gli Air di Pocket Symphony.
Il Koko per chi non lo conoscesse è un teatro sorto nel 1982 in Camden Town e da una ventina di anni trasformato in mecca inglese dei concerti, tuttavia l’atmosfera che si respira questa sera – 20 Marzo 2025 – è quella di un’opera, melodrammatica, in cui un interprete in particolare (Coxon) deve repentinamente cambiare faccia e abito, passando dalla chitarra al sassofono, dall’armonica a bocca al canto. L’impressione è di averlo visto alla lunga stanco, pronto alla battuta con le prime file sì ma inquieto, dipendente della sua e-cigarette e attento ai minimi particolari che contraddistinguono pezzi come “Undine” o “Song For Eliza May”, o gli sfoghi noise a ribattere le tastiere di Rose, nell’incredibile “Over And Over”.
Il clima senza spazio e tempo, quasi di un’ascesa verso la Luna, lo rende la Dougall, con un’interpretazione vocale maiuscola in “Eternal”, estratta dal nuovo EP come “Love Is All Pain”, titolo che più shakespeariano non si può, ad introdurre le danze.
Le luci della megalopoli vs la pace della campagna
Quello che trovo più fascinoso della musica del progetto The Waeve, è il contrasto, anche all’interno dei brani stessi, tra la modernità dei suoni aggressivi di tastiere e chitarra e l’eleganza dei timbri antichi e barocchi dati dal violino e dai fiati, ad esempio in “Broken Boys” e “You Saw” – a testimoniare che il secondo capitolo City Lights appare un lavoro più originale e di squadra, magari a danno dell’immediatezza che avevano “Can I Call You” o “Kill Me Again”, proposte nel finale. Una “Sleepwalking” all’ombra dei Police, con i sax a dialogare tra loro, riesce finalmente a zittire una fetta di amici italiani “su di giri”, mentre “Drowning” nell’intarsio di synth, violino e armonica mostra una vena tanto prog quanto celtica; la seconda parte di brano vede unirsi le ugole di Rose e Graham in una sola, la batteria di White pestare neanche suonasse del metal, il basso danzante, il sax no-wave: un momento da tenersi stretto del 2025.
Con “Moth To The Flame” si entra in territori da Bowie berlinese e con il trittico iniziale è il momento più rock’n’roll del concerto. Peccato per la mancanza in lista di brani celestiali quali “I Belong To” o “Standing Still”, ma se faccio questo discorso è perchè ormai Graham e Rose hanno un repertorio notevole da cui attingere: un piccolo capolavoro artistico, a un lustro dalla formazione del gruppo. “Sunrise” e “Druantia” chiudono la serata, la prima in una sorta di tributo a The Dark side Of The Moon con la Fender di Coxon a ipnotizzare e gemere in pose da Mick Ronson, l’altra lunga, visionaria eppure antica come una leggenda (Here comes the mother/Of all we see/I feel the power/Of the life force running through me); Druantia è una divinità celtica dell’Insubria, abbinata alla Quercia, l’albero che vive per secoli, e considerata la Regina dei Druidi.
The Waeve sono un’esperienza da non perdere live. Nella loro musica si trovano bellezza e forti contraddizioni, magniloquenza e sfoghi rumorosi, tanto classic rock quanto indie-folk. Appuntamento per giugno a Modena, ça va sans dire.
(Matteo Maioli)