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Registrare una buona compilation per rompere il ghiaccio non è mica facile. Devi attaccare con qualcosa di straordinario, per catturare l’attenzione (all’inizio pensai di cominciare con Got to get you off my mind, ma poi mi resi conto che c’era il rischio che Laura non andasse mai oltre la prima canzone del lato A, se le davo subito quello che si aspettava, così finii col seppellire Solomon Burke in mezzo al lato B), poi devi alzare un filino il tono, o raffreddarlo un filino, e non devi mescolare musica nera e musica bianca, a meno che la musica bianca non sembri musica nera, e non devi mettere due canzoni dello stesso cantante di seguito, a meno che non imposti tutto il nastro a coppie, e… beh, ci sono un sacco di regole.” (Nick Hornby, “Alta Fedeltà”)
Viviamo in un mondo di playlist perché oggi è facilissimo farle, con Spotify, ma le playlist sono sempre esistite come ci ricorda Nick Hornby qui sopra, solo si chiamavano compilation, o cassettine. Forse siamo talmente sommersi che non le ascoltiamo più, le mettiamo solo su e lasciamo che loro vadano avanti mentre noi facciamo dell’altro, e loro suonano da sole e vanno per la loro strada nel mondo. Però poi, dopo esserci distratti, torniamo a farle. E questa vogliamo farla con attenzione. Già, perché già il titolo è pretenzioso: “definitiva”. Seee. “Definitiva” lo vai a dire a tua sorella. Ma si ha la pretesa di farla, la compilation “definitiva”, solo di una band che si conosce a menadito, e sui Doves credo di essere preparato, prof., mi offro volontario.
Ai Doves – di cui è uscito lo scorso 28 febbraio il sesto album “Constellations for the Lonely“, abbiamo già dedicato una Top 7 ma quella era collettiva e questa invece è personalissima: la ragione per fare l’ennesima playlista (“definitiva”, però) è che esiste sempre qualcuno che magari i Doves non li ha mai sentiti nominare, che non ci si è mai imbattuto, che invece li ha sentiti e si è sempre ripromesso di ascoltarli, prima o poi, come me con i film di 007. Potrebbe servire. E se non serve è stato comunque divertente (per me).
Quindi eccoci qui.
Ho voluto iniziare con “Here It Comes”, partendo forte, perché è la canzone più riconoscibile dell’esordio, ma poi sono voluto passare all’ultimo album per far capire che, in fondo, i Doves non sono cambiati nonostante siano passati 25 anni. Poi ho dipanato mettendo almeno un brano per ogni album, compresa una raccolta di b-sides che però, essendo riferita alle canzoni minori del primo meraviglioso disco, minori non sono. E, insomma, lo sapete: ci sono un sacco di regole.
Doves Playlist:
- “Here It Comes”
- “In the Butterfly House”
- “Words”
- “Sea Song”
- “Almost Forget Myself”
- “Darker”
- “M62 Song”
- “Kingdom Of Rust”
- “Mother Silverlake”
- “There Goes The Fear”
- “Melody Calls”
- “Valley”
- “Black And White Town”
- “Carousels”
- “The Sulphur Man”
- “Willow’s Song”
- “Snowden”
- “Firesuite”
- “Walk in Fire”
- “One Of These Days”
- “Universal Want”
- Lost Souls (2000): 4 canzoni
- Lost Sides (2001 compilation): 3 canzoni
- The Last Broadcast (2002): 4 canzoni
- Some Cities (2005): 5 canzoni
- Kingdom of Rust (2009): 1 canzone
- The Universal Want (2020): 3 canzoni
- Constellations for the Lonely (2025): 1 canzone
(Paolo Bardelli)