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Ficcante e raffinato come sempre, nel suo nuovo disco The Purple Bird, sorta di nota a margine dei suoi due album precedenti, Bonnie “Prince” Billy crea un acquerello estremamente efficace di brani country e folk intelligentemente costruiti e ben centrati, nei quali Will Oldham si muove con grazia e con astuzia.
Per la seconda volta in carriera al lavoro con un produttore, questa volta David Ferguson, che non è di Louisville, Will Oldham si spinge temporaneamente fino a Nashville, dove scolpisce con una certa libertà espressiva e con una certa positiva “leggerezza” nel modo di comporre un album folk-country che è movimentato e riflessivo al tempo stesso. Oldham riesce qui a coniugare il desiderio di fuggire con i timori e con la forza che ha chi decide volente o nolente di restare. Lo ha fatto soprattutto perché ha saputo approfittare della contingenza. Senza rinunciare a momenti di composizione con musicisti e cantautori locali, Oldham, pur nel tentativo di ritornare a un sound che fosse solo e soltanto del suo “Prince”, si è lasciato evidentemente attraversare dalle vibrazioni e dalle attitudini dei suoi compagni di viaggio, introiettando con una sensibilità originalissima le sonorità e i ritmi del country di Nashville.
Tutto ciò è estremamente evidente e tangibile in molti degli episodi che compongono The Purple Bird: che si tratti della quiete ordinata ma emozionata di “Sometimes It’s Hard to Breathe”, bozzetto di ampio respiro che culla l’ascoltatore con le dolci onde che creano le chitarre, le tastiere e l’apparato ritmico, della dolcissima e fragilissima “Boise, Idaho”, dal ritornello appassionante e ipnotico, dello splendido e allucinato viaggio di “Downstream”, il tentativo di scappare in un locus amoenus fatato e vagamente inquietante, o ancora dei toni speranzosi e quasi sbruffoni della delicata “Tonight With the Dogs I’m Sleeping”, Oldham riflette sul momento che attraversa la sua nazione e lui stesso, sulla condizione di solitudine dell’individuo di oggi e sulla sua necessità di creare una comunità fondata su solide basi senza che vengano meno l’ironia e la malizia che contraddistinguono molte delle sue composizioni.
Nel suo muoversi in modo audace e al tempo stesso snello, The Purple Bird concede all’ascoltatore una quarantina di minuti di piacere e di sagaci e mai troppo pessimistiche riflessioni. Ci si diverte con una sottile ma percettibile soddisfazione in ballate levigate e calde come “One of These Days (I’m Gonna Spend the Whole Night with You)”, romantica e sognante, dove Oldham, dialogando con la sua dolce metà o con una presenza solamente immaginata ma profondamente agognata, confessa che «I’ve been wining and dining you, praising your beautiful eyes / My intentions are good, baby, I wouldn’t tell you a lie» prima di ammettere, con una certa amarezza, che «Your worries and cares about me will be gone by the end of this silly old song». Con un taglio a volte ironico e a volte più austero speranze e delusioni si intrecciano in molte canzoni; talvolta si abbracciano: le une con paura e con incertezza e si accettano; le seconde con un potente sorriso. “Is my living in vain?”, si domanda Oldham in una canzone che porta quel titolo, sorpreso ma anche illuminato da una sincera voglia di capire cosa c’è oltre a quello che vediamo e che tocchiamo, mentre si chiede «Am I wasting my time?» e, in maniera ancor più tagliente, «Is my singing, singing in vain?».
Le ombre che emergono in tutte le canzoni, anche se in misura differente, ci fanno ricordare che siamo pur sempre in un disco di Oldham, per quanto molti di questi deliziosi episodi country e folk possano sembrare più ipnotici e meno oscuri del solito. «“Who will you shoot in the face? Who will you shoot in the back?», canta Oldham nell’allegra e festaiola “Guns Are for Cowards”. Il suo incedere disorientante e dissociante è forse l’essenza più nascosta e intrigante che l’intero The Purple Bird porta con sé e che si può rintracciare e scoprire in ogni suo singolo pezzo.
75/100