Björk a Bologna: l’entusiasmante sinfonia di suoni, colori e speranze che è “Cornucopia”

Bjork @ Unipol Arena, Casalecchio di Reno, September 23, 2023 – Cornucopia

«Flutes rock!»

I flauti “spaccano” e ci indicano la strada di una possibile redenzione. I 90 minuti di Cornucopia, vera e propria installazione audiovisiva di respiro amplissimo che Björk sta portando in tournée da ormai quattro anni, ci racconta anche questo. Il grido – «Flutes rock!» – che Björk lancia dal palco al termine di un brano del set mentre è avvolta da un fascio di luci bianche e inondata da meravigliose proiezioni video che la incorniciano è l’esclamazione sincera di chi ha costruito il suo show proprio intorno a quegli strumenti e alla propria splendida voce. Lo grida con convinzione, come fosse qualcosa che il pubblico deve conoscere per poter comprendere fino in fondo le ragioni e le idee che stanno alla base di questa performance.

Annunciato nel novembre 2018, a più di un anno di distanza dalla conclusione del breve Utopia Tour di supporto all’omonimo album pubblicato nel 2017, Cornucopia debutta nel 2019 a New York e viene descritto dal New York Times, dal Guardian e da Spin come «[Björk’s most elaborate staged concert to date». Diretto dalla regista argentina Lucrecia Martel, Cornucopia è un concept live stratificato e ambizioso, uno spettacolo ecologista, femminista e, prima di ogni altra cosa, musicalmente e visivamente variopinto, che tocca argomenti anche dolorosi ma coltiva dall’inizio alla fine la speranza sincera di una rigenerazione possibile. Multimediale in misura massiccia, universalistico e intimo al tempo stesso, Cornucopia è un viaggio attraverso e dentro di noi intesi come specie umana ancor più che come individui, ed è a tutti gli effetti quel che è oggi Björk.

Ridisegnare il mondo partendo dai flauti e dalla voce è uno dei fils rouges dell’opera. Utopia era stato composto e arrangiato prevalentemente con e per i flauti: era un lavoro in cui, come la sua autrice dichiarò nel 2017 intervistata per Nowness, «[we] decided to have synths that have a lot of air sounds in them and flutes that sound synthy». L’aria che si respira in Cornucopia è la stessa: synth vaporosi che sembrano strumenti pizzicati o soffiati, flauti che paiono arrivare da un’altra galassia, ritmi elastici, conturbanti, pulsanti come se provenissero dal nucleo di ferro fuso del nostro pianeta. Il rispetto dell’ambiente e il tentativo di reinventare noi stessi e i nostri modi di vivere per essere più (eco)sostenibili è un’altra delle narrazioni di Cornucopia, complementare alle altre, nonché uno dei temi che Björk ha affrontato ampiamente nei suoi due ultimi progetti in studio, il già citato Utopia (2017) e il più recente Fossora (2022). Questo ci suggeriscono anche alcune delle scritte che compaiono sugli schermi dietro al palco e su quello, frastagliato, che davanti al pubblico, come fosse un tendaggio, lo chiude.

Come muoversi, quindi, per provare a salvare ciò che è a rischio in questa fragile terra? Occorre ripartire innanzitutto dai quattro elementi, quelli che permettono la vita sul nostro pianeta. Dall’acqua, in particolare, che durante “Blissing Me” scorre come effetto uditivo e visivo sotto ad alcune percussioni che vengono suonate “dentro” di lei. Poi dalla flora, così essenziale nell’immaginario stesso dell’universo musicale e addirittura sociale dipinto nei decenni da Björk, che appare e scompare in mezzo alle animazioni che vivacizzano e ampliano la performance. Dagli animali, che in numero sempre maggiore sono a rischio di estinzione, anch’essi presenti, spesso trasmutati, sugli schermi. Dalla speranza di poter cambiare, che non può essere soltanto un’utopia, che pure è la parola chiave per provare a conciliare tutto ciò di cui ognuno di noi sente il bisogno e la necessità di organizzare un nuovo modo di vivere prima che intorno restino solamente macerie.

Il fungo era al centro dell’immaginario di Fossora, simbolo dello scavare e del cercare ciò che si è per davvero. In Cornucopia Björk tiene presente questa metafora per ampliare ulteriormente il discorso che già guidava Utopia, il vero centro dello show sin dalla sua ideazione. «Vivo con le talpe», aveva dichiarato Björk al Guardian un anno fa, «e affondo le radici in me stessa». Cornucopia è incentrato su Utopia ma guarda con attenzione anche a Vulnicura, il suo predecessore, e a Fossora, il suo successore, che si muovono e si percepiscono tra le pieghe più sotterranee del concept. È questo, dopotutto, il trittico di album più recente di Björk: si tratta di tre dischi legati profondamente tra loro per le ricerche sia sonore sia liriche che in essi è condotta, per la sensibilità che l’autrice vi sparge, per le loro atmosfere, produzione e strumentazione: rappresentano, infatti, una nuova evoluzione artistica, l’ennesima, dell’autrice islandese.

«Digital theatre»

Cornucopia è pieno di epifanie: rivelazioni improvvise, rivoluzioni insperate, illuminazioni inattese popolano lo spettacolo, che è anche un tripudio di gioia e di chimere cullate: un’utopia, appunto. In alcuni momenti del concerto Björk si rifugia a cantare in una specie di igloo posto nell’angolo sinistro del palco. Potrebbe rappresentare un tempio postmoderno, un luogo di culto laico, l’ultimo bunker in cui chiudersi a riflettere per provare a ricostruire una nuova relazione con i nostri simili e col mondo che ci ospita. Non è, però, un bunker che allontana dal mondo esterno: dialoga con esso e a esso vuole ritornare, e le esplosioni floreali e i caleidoscopi naturalistici che gli schermi proiettano costantemente sono qui a ricordarcelo, così come alcuni primi piani di Björk quando si nasconde a cantare in quell’anfratto accogliente. Björk si muove sinuosa e con lei i suoi musicisti, che suonano e danzano splendidamente; la sua voce è perfetta, potente in certi episodi, come nell’apertura affidata a “The Gate” o nel labirinto di specchi che è “Arisen My Senses”, leggera e dosata in altri momenti, come nella spettrale “Tabula Rasa” o nell’elaboratissima “Ovule”.

Nonostante il suo carattere spiccatamente introverso, che è evidente e significativo, è il mondo esterno, quello delle relazioni e delle negoziazioni, quello in cui Cornucopia si muove e in cui anche noi viviamo e lottiamo. È qui fuori, in questo brodo primordiale che non sembra acquietarsi e che ci costringe a soffrire e a pregare, che tutto può ancora cambiare; eppure la spinta al cambiamento deve arrivare prima da dentro di noi. «On the surface simplicity / But the darkest pit in me», recita la splendida “Pagan Poetry”, tratta da Vespertine, interpretata con convinzione e trasporto prodigiosi. Di fronte a noi al centro del palcoscenico o nel retro, sola nella pista che si avvicina agli spettatori oppure accanto alle flautiste, accerchiata, quasi protetta, da loro, Björk è qui stasera a indicarci la luce, a ripeterci che non tutto quel che abbiamo costruito è da gettare via; è pronta a concederci il fuoco purché siamo in grado di usarlo a nostro vantaggio, novella Prometeo in chiave matriarcale come la società che Fossora e prima ancora Utopia immaginano e costruiscono. Un’utopia religiosamente laica, che ha al suo centro un album, Utopia, il quale è costruito da flauti e labirinti elettronici di ritmi e di synth che danno vita a gallerie sotterranee in cui è necessario immaginare un’uscita; suoni, sapori e immagini di ogni genere in un tripudio di sensazioni e impressioni: dalle intricate impalcature vocali di “Victimhood” alla brillantezza del classico “Isobel”, non c’è un momento di pausa se non appena prima dell’encore, quando compare sullo schermo un messaggio ecologista registrato da Greta Thunberg. In Cornucopia ogni attimo è perfettamente organizzato e ogni brano magistralmente eseguito.

Björk, che cambia un paio di volte i suoi outfit, come sempre originalissimi e incantatori, è la Madre Terra, la De-meter greca, la divinità di origine micenea, e ancor prima indoeuropea, che è all’origine della vita, delle stagioni e dei ritmi della natura. Nel mito, che spiega appunto perché l’estate si alterna all’inverno, sua figlia Kore, “la fanciulla”, divenuta col passare dei secoli Persefone, è rapita da Ade e da lui trascinata negli Inferi. Costretta a diventare sua sposa, Kore è destinata a trascorrere una buona parte dell’anno sottoterra. Dopo una serie di lunghe e complesse vicissitudini le viene concesso di tornare dalla madre in superficie per alcuni mesi ogni anno. Björk compare dalle tenebre, inondata da fari abbaglianti, a riportarci la vita, le fioriture, il raccolto; a volte torna nel buio, negli Inferi, per alcuni momenti più cupi e misteriosi; principessa elegante nel suo sinuoso muoversi e col suo canto fatato, è anche una messaggera severa quando ci ricorda i nostri errori, i nostri limiti e i nostri doveri. Il già citato messaggio di Greta Thunberg appena prima dei tre brani conclusivi, gli eccezionali “Mycelia”, “Future Forever” e “Notget”, quest’ultima eseguita in maniera particolarmente brillante, ce li ribadisce, ricordandoci le urgenze e gli ostacoli che ci attendono nel lungo percorso che ci occorre seguire per provare a salvare noi stessi e il pianeta nel quale viviamo.

Se Björk è Demetra, Cornucopia è essa stessa l’Abbondanza. Quella del raccolto, appunto, ciò che si riconduce al rapporto primigenio dell’uomo con la terra e con i suoi frutti. È la ricerca di un sapere primordiale, semplice e naturale. È un porto sepolto che vive dentro di noi senza che noi lo sappiamo. Non sorprende, quindi, un legame con il passato, con il linguaggio del passato e con quelle tradizioni culturali che hanno reso unico l’essere umano, perché il futuro, anche un futuro diverso, non si può costruire senza conoscere ciò che abbiamo alle spalle. Non sorprende, quindi, che risuoni il latino sia nel titolo del tour sia in quello del disco Fossora, che è un sostantivo che Björk stessa ha inventato partendo dal latino fossor, “scavatore”, e dando a quest’ultimo un suo corrispettivo femminile, visione che è parte viva e tangibile del progetto di Björk di scavare a fondo nel suo animo e in quello di noi tutti.

Cornucopia non tralascia il passato dell’essere umano come specie né quello (artistico) della sua autrice. Nello show, infatti, c’è spazio anche per alcuni pezzi non tratti dai suoi ultimi album: sono scelte raffinate e in linea col messaggio dello spettacolo. Questi pochi brani, quattro in totale, immersi nelle flore e faune animate che popolano gli schermi, sono presentati in una nuova veste, con arrangiamenti vicini a quelli di Utopia e di Fossora, e diventano parte integrante del concept riuscendo a fornirci ulteriori chiavi di lettura per capirli e apprezzarli una volta di più. “Venus as a Boy”, per esempio, non è più un electro-pop ritmato e seducente ma una dolcissima riflessione sulla bellezza e sulle sue più variegate e inattese manifestazioni naturali e antropiche, e “Isobel”, ipnotica e delicata, mantiene la sua magnetica attrattività pulsante mentre viene declinata con eleganza e con coerenza all’interno del concept del live. Come ha dichiarato lei stessa al New York Times, Cornucopia è «digital theater» e uno «sci-fi pop concert»: i suoi ambiziosi obiettivi legittimano la grandeur dell’installazione e confermano che la performer islandese è una degli artisti più rilevanti e audaci dei nostri tempi.

(Live report, foto e video di Samuele Conficoni)