“Manic Pop Thrill” dei That Petrol Emotion: non più post-punk e non ancora britpop

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Il 1986 fu un anno strano, direi di passaggio. Né carne, né pesce. Si usciva da una certa euforia da new wave inglese e di pop fantasioso e intelligente per entrare in un periodo meno definito, in attesa delle grandi rivoluzioni musicali che stavano arrivando, ovvero – in termini generalissimi – house, Seattle-sound e Stone Roses. Ma ancora non ci si era arrivati, si affogava radiofonicamente in un pop che si stava sempre più lucidando, sulla scia di Whitney Houston che quell’anno, ai Grammy, ricevette quattro nomination, incluso Album of the Year, vincendone uno, quello di Best Pop Vocal Female Performance per “Saving All My Love for You”. Certo, uscirono degli album bellissimi ma furono un po’ come delle gemme sparse: su tutti “The Queen Is Dead” degli Smiths sul versante inglese e “Lifes Rich Pageant” dei R.E.M. e “Licensed to Ill” dei Beastie Boys dall’altra parte dell’Atlantico, ma anche “EVOL” dei Sonic Youth e soprattutto il primo album per una major degli Hüsker Dü, “Candy Apple Grey”, senza dimenticare “Master Of Puppets” dei Metallica. Molti generi diversi, dunque, senza dei movimenti ben posizionati. Forse solo la cassetta C86 indicò un po’ una via.

In questo contesto il meraviglioso album di debutto dei That Petrol Emotion, “Manic Pop Thrill”, uscito nel 1986, è esemplificativo di quel mondo in cui si era con i due piedi in tante scarpe: nord-irlandesi originari di Derry ma ben presto spostatisi a Londra, con un cantante americano, i That Petrol Emotion venivano dal punk (i chitarristi, i fratelli O’Neill, erano stati parte degli Undertones, seminale band pop-punk fine anni ’70/inizi ’80) ma erano particolarmente eclettici, non ingabbiabili in un genere unico, spaziando dal post-punk alla new-wave britannica con una facilità estrema. Purtroppo però questa loro tavolozza ben fornita di colori fu più un fardello che una carta da giocare, perché – in definitiva – i That Petrol Emotion arrivarono troppo tardi per il post-punk e troppo presto per Madchester e il britpop.

Ma “Manic Pop Thrill” è uno splendore di disco: più che le sferzate di sapore punk (l’iniziale “Fleshprint” e “Tightlipped”), in ogni caso particolarmente coinvolgenti, sono i brani che anticipano la nuova scena britannica che verrà che colpiscono ancor oggi: “Lettuce” parte dai pinkfloyd più psichedelici e anticipa i Kula Shaker, “Jesus Says” sembrano i Supergrassi più acustici, “Blindspot” degli Stone Roses emaciati. Il tutto intermezzato da brani che tradiscono il vero dna dei That Petrol Emotion, il post punk: “Mouth Crazy”, “Can’t Stop”, “It’s a Good Thing” esistono perché c’erano stati prima i Fall e i Gang of Four, e l’affiancamento a questi gruppi è anche da un punto di vista politico, dato che i testidei That Petrol Emotion erano spesso politicamente impegnati (la copertina interna dell’album era ornata da note anti-britanniche, contenenti un passaggio del testo del repubblicano irlandese Michael Dacitt del 1904, “The Fall of Feudalism in Ireland”).

Una volta, al pub The Crown di Belfast, conobbi un ragazzo che si presentò come “Geremia” e mi disse “Hai capito?”. E io: “No”. “Geremia è un tipico nome cattolico, dunque io sono cattolico, e questa distinzione ci accompagna tutta la vita di irlandesi in Irlanda del Nord. Ci si schiera sempre: se dico il mio nome, se vado a comprare un biglietto e dico ‘Derry’ invece che ‘Londonderry’, ogni nostro gesto ci tradisce e ci fa schierare da una o dall’altra parte”. Per i That Petrol Emotion è lo stesso: “Abbiamo dovuto prendere posizione fin dall’inizio; abbiamo dovuto dire ‘Bene, veniamo dall’Irlanda del Nord. Il nostro nome vuole deliberatamente riassumere l’intero sentimento di frustrazione e rabbia che si prova vivendo lì'” (The Tuscaloosa News, intervista del 1987).

Odore di benzina che diventa una sensazione, anzi un’emozione, un brivido e un sussulto: inebria e rende pronti alla lotta, ma con una certa poesia. Tutto quello che è “Manic Pop Thrill”.

(Paolo Bardelli)

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