Quando i tastieristi sono rock: il libro di Gabriele Marangoni

#Lineanota

Una volta mi sono dovuto chiedere, per giustificare quella parola – “rock” – che avevo messo nel titolo del mio libro, se il rock necessiti obbligatoriamente della chitarra elettrica per essere tale. La risposta è stata immediatamente di no, e mi bastò pensare a quel Jerry Lee Lewis che è mancato da qualche mese. Se così è, allora l’opera di Gabriele Marangoni in “Rock keyboard (r)evolution. Breve storia del tastierismo rock, della sua evoluzione e dei suoi protagonisti in Italia e all’estero” (Arcana), ovvero quella di ripercorrere (brevemente) la storia dei tastieristi nell’ambito del rock (inteso, com’è giusto che sia, nel senso più ampio che si può), è davvero meritoria.

Marangoni, collaboratore del sito Metal.it ma appassionato competente e di gusti eclettici, si è avventurato in un compito non facile (e infatti, in un modo simpatico, nella premessa invoca “pietà fin da subito” se ci sono state dimenticanze o omissioni), e cioè quello di puntare il riflettore sul lato/retrovie del palco, quello di solito calcato dal tastierista, per dimostrare che il rock ha avuto bisogno eccome dei tasti neri e bianchi.

La sua disamina è attenta, soprattutto nel racconto fino agli anni ’80, a non dimenticare nessuno con trasporto e cura nella spiegazione e, per quanto mi riguarda, è stata particolarmente interessante nel partire dai pianisti del ragtime come Scott Joplin o del be-bop come Bud Powell; una rispolverata insomma delle basi che molte volte non si (ri)approfondiscono perché si è presi dalla contemporaneità o quasi-contemporaneità.

Poi la storia si è fatta calda soprattutto con l’arrivo degli anni ’70 e di quel suo esponente, Keith Emerson, per cui Marangoni si capisce che è un fan, anche se cerca di imbrigliare il suo amore nell’ambito di una professionalità di scrittura mai sottotono. Più si procede, però, più l’effetto wikipedia appesantisce un po’ la lettura, ma è un peccato veniale classico nell’ambito di un esordio letterario: si ha paura di essere troppo soggettivi e poco esaustivi, mentre in realtà alle volte si dovrebbe essere proprio il contrario, personalissimi e concentrati su poche cose. Ma non era quello l’obiettivo del libro, che diventa invece una piccola storia del rock utile magari anche per mettere su artisti che, per un motivo o per l’altro, si sono trascurati.

Non farò dunque l’errore di sottolineare quella o quell’altra mancanza, un po’ per assecondare la giusta richiesta in premessa, un po’ perché l’utilità di tornare – attraverso i tastieristi – su band che si sono solo sfiorate nel corso del proprio tempo musicale è impagabile. Ma un paio di debolezze non posso esimermi dal rilevarle: mi sarebbe piaciuto però da lettore avere maggiori focus su quello o quell’altro brano, su passaggi singoli, assoli, tipologia di suono, perché Marangoni si concentra piuttosto sulle biografie e questo alle volte appiattisce leggermente la lettura. Inoltre l’ultima parte del libro, cioè la parte post-Duemila (il saggio segue lo sviluppo cronologico) forse avrebbe meritato un maggiore approfondimento, soprattutto perché il tastierista di oggi è sempre di più al pc e meno sui tasti ma come forma mentis rimane tale, per cui credo che non debba essere discriminata l’elettronica sperimentale odierna e i suoi relativi alfieri, declinati al maschile o al femminile che siano.

Ma, come si è già detto, nel libro gli stimoli in generale ci sono e sono già tanti, per cui Marangoni rimane fedele alla definizione di “breve storia” che ha inserito nel sottotitolo. Si termina quindi la lettura con la consapevolezza che nella storia dell’ultimo secolo di musica i tastieristi siano stati colpevolmente poco celebrati, e con la certezza che debba essere molte volte, se non ribaltata, riequilibrata la visuale tra la chitarra e i sintetizzatori (ma anche organi, pianoforti e tutto ciò che si schiaccia). E, siccome anche il sottoscritto si è sempre dilettato a fare il tastieraio, è una bella soddisfazione.

(Paolo Bardelli)

Info: Rock keyboard (r)evolution – Arcana Edizioni

SINOSSI UFFICIALE:

Il 29 agosto del 1970, Emerson Lake & Palmer si presentano sul palco del festival dell’Isola di Wight per la loro seconda esibizione pubblica. Per Keith Emerson è l’occasione perfetta per sfoggiare il suo nuovo sintetizzatore modulare prodotto da Bob Moog, reso celebre da Walter Carlos ma mai visto dal vivo in un contesto rock. È ingombrante, pesante, difficile da usare e spesso stonato, ma il tastierista vince la scommessa, conquistando i numerosi presenti accorsi a vedere il trio con una prestazione incendiaria. È l’apice di un percorso iniziato con Jerry Lee Lewis e proseguito nei decenni successivi con tanti altri artisti – da Gary Numan a Jordan Rudess, ma non solo – che vede i tastieristi tornare protagonisti della scena a discapito dei più blasonati colleghi chitarristi. Se ne accorgono anche i produttori di strumenti musicali elettronici, che da quel giorno d’estate del 1970 inonderanno il mercato di tastiere sempre più appariscenti e futuristiche, sviluppate molte volte con il supporto fondamentale dei musicisti stessi. “Rock Keyboard (R)evolution” è una breve storia di questi artisti leggendari e di questi strumenti, dalle origini a oggi, con un occhio di riguardo per la scena italiana, mai sufficientemente valorizzata. Prefazione di Donato Zoppo.