[aapoc] “Nuova grammatica finlandese”: ripensare alla lingua come elemento di identità

Dopo un toccante prologo, il romanzo inizia con una magistrale descrizione delle sensazioni drammatiche di un soldato che ha subito delle ferite e ha perso l’uso del linguaggio e parte della memoria. Siamo nel settembre 1943. L’uomo viene trovato con una grave ferita alla testa vicino alla stazione di Trieste e portato nella nave ospedale ancorata nel porto di Trieste. Unico indizio due iniziali ricamate all’interno della sua divisa.

Lentamente, sollecitato da un medico attratto per varie ragioni da quelle che sembrerebbero essere le sue origini e dalla sua storia enigmatica, si assiste ad un recupero attraverso l’apprendimento di un finlandese rudimentale fatto di pochissime parole.

«La memoria linguistica che il trauma aveva sradicato dal mio cervello rinasceva altrove, in una parte diversa della mia mente».
La voce narrante è quella del protagonista che si alterna con quella del medico suo soccorritore. Man mano che i miglioramenti lo consentono il soldato inizia a girare per la città cercando ricordi che lo aiutino a ricostruire una identità. «Odore, luce, rumore, erano stati gli strumenti del mio risveglio».

immagine per Nuova grammatica finlandese di Diego Marani. Un modo di ripensare alla lingua come elemento di identitàIl medico lo invita a cercare gli elementi della propria storia attraverso la sua probabile  lingua di origine e lo aiuta ad affrontare il viaggio in treno verso Dresda per poi imbarcarsi per Helsinki. Il soldato non capisce, non ricorda, ma semplicemente si fida. Assorbe i consigli, le indicazioni, le premure. Il medico vive attraverso questo ritorno la propria nostalgia per il paese che ha amato e dove ha fatto i suoi studi.

Arrivato ad Helsinki nell’ospedale militare dove prosegue il suo percorso riabilitativo, conosce un pastore luterano che continua ad insegnargli quella che tutti, compreso lui stesso, credono essere la sua lingua madre.

Il contesto in cui si muove la vicenda è drammatico. La Finlandia è invasa da profughi provenienti dalla Carelia. Molti trovano rifugio in Svezia, altri girovagano in cerca di alloggi di fortuna. Nessuno ha più il tempo, eccetto il pastore, di occuparsi della sua memoria perduta. La solitudine e l’angoscia lo invadono. Il suo unico sollievo è riconoscersi nello smarrimento di altri che come lui “tornano” senza sapere dove andare, che girovagano senza meta alla ricerca di punti fermi perduti.

Marani trasmette questo smarrimento tirandoci dentro una sorta di umanissima solidarietà e compassione, un sentimento sconosciuto alla mia generazione che non ha conosciuto in prima persona la guerra né il ritorno.

Il linguaggio si pone al centro della vicenda, diviene il simbolo, lo strumento del perdersi e del ritrovarsi. Il cappellano sostiene che il finlandese è una lingua diversa da tutte le altre. I suoi suoni sono quelli della natura, del rumore del mare, dei versi degli animali. I finlandesi li hanno semplicemente raccolti e pronunciati, facendone la propria lingua. Ma non basta; la sensazione è quella di iniziare a costruire un’identità fittizia che ne copre un’altra, quella vera, della quale tutto sfugge. Quante volte ci è successo?

E se è accaduto a noi, quante volte può accadere a chi si presenta straniero in una terra che non conosce e che non lo riconosce? «Se si radicava e s’irrobustiva la conoscenza della lingua, nulla restava invece della mia convinzione di appartenere a quel posto».

Il suo percorso per cercare un’appartenenza continua attraverso tentativi drammatici di riconoscersi in qualche gesto, in una musica, nella visione di un luogo. Il racconto si inerpica sempre più nell’angoscia del soldato, che gli impedisce anche di abbandonarsi ad un amore che gli viene generosamente offerto.

Diego Marani si interroga su quanto della nostra identità investiamo a riconoscerci nella nostra lingua. La difendiamo, eppure la possiamo perdere facilmente nella pluralità delle altre lingue. Marani è il creatore di un gioco linguistico, di una provocazione, che vorrebbe la lingua come strumento di comunicazione cosmopolita.

Chi è privo di appartenenza è sospettato da tutte le ideologie sovraniste e nazionaliste. Questa è la solitudine che trasmette la vicenda del soldato, vittima di una identità fittizia attribuitagli da due iniziali cucite sulla divisa e dalle illusioni, speranze e nostalgie dei personaggi che incontra.

Un colpo di scena finale lo rende vittima innocente di supposizioni errate. I personaggi che incontra sono premurosi, affettuosi, generosi, privi di pregiudizi, ma forse pieni di troppe aspettative.

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