[aapoc] L’orologio come soggetto delle arti visive (e come investimento)

Il tempo è un pezzo di formaggio camembert che si scioglie al sole d’estate… Questo, più o meno, scrisse Salvador Dalì in una lettera all’amico chimico e fisico russo naturalizzato belga Ilya Prigogine (sua l’affermazione: “L’irreversibilità del tempo è il meccanismo che determina l’ordine a partire dal caos”). Da questa analogia bizzarra si dice nascano gli “orologi molli” del noto artista surrealista, a partire da quel primo quadro del 1931, poi rinominato,  l’anno dopo, dal gallerista Julien Levy, “La persistenza della memoria”.

Ma Dalì non può non essere stato influenzato, anche, e come molti suoi colleghi, dalla teoria della relatività dello spazio-tempo di Einstein.

In ogni caso, la percezione del tempo, del suo procedere, è per tutti inteso e vissuto in modo soggettivo, come tante opere di Dalì ci ricordano; ed è proprio all’orologio che ci si affida per organizzare la nostra quotidianità e per avere la corretta misura dei secondi, dei minuti, delle ore…

Lo sapevano anche nell’antichità, quando si usavano gli orologi solari per tenere sotto controllo lo scorrere del tempo, assai dipinto dagli artisti: in modo simbolico, con temi quali la vecchiaia, la morte, la presenza di teschi vari (Vanitas, allusiva al tema della caducità della vita), e, insomma, con quel tempus fugit latino – derivante da un verso delle Georgiche di Virgilio – che ebbe  il suo massimo sviluppo nel Seicento, affrontato, tra i tanti, da Guercino, Salvator Rosa, Antonio de Pereda, Philippe de Champaigne, Abraham Mignon, Hans Holbein il Giovane (di cui diremo anche più avanti), Simon Renard de Saint-André, Jan Brueghel il Vecchio, Pieter Paul Rubens, Pieter Claesz, Harmen Steenwijck, Juan de Valdés Leal, e che doveva essere ben chiaro anche a Lewis Carroll nelle sue fotografie ma soprattutto nella sua favola visionaria Alice nel Paese delle Meraviglie.

Alle varie allegorie del Tempo o dei tanti memento mori si affiancano opere dove è proprio l’orologio ad essere tra i protagonisti delle varie opere, ben prima di Dalì.

Tra tante raffigurazioni pittoriche, meritano una menzione quelle del tedesco Hans Holbein il Giovane; ad esempio, il Ritratto di Nikolaus Kratzer, astronomo monacense (quadro realizzato nel 1528 e conservato al Louvre di Parigi), e Gli ambasciatori francesi alla corte inglese (datato, 1533, oggi alla National Gallery di Londra); e anche il Ritratto di Gisze (1532,  Staatliche Museen, Berlino), mercante che doveva ben sapere che “il tempo è denaro”, dato che sul suo tavolo non manca, appunto, un piccolo orologio solare.

La scienza della gnomonica e la sua evoluzione nei secoli ci hanno portati all’orologio così come lo conosciamo oggi (meccanico prima, elettronico poi) e come ce lo hanno mostrato gli artisti, molti dipingendoli.

Claude Monet, ad esempio: nelle varie versioni del La Cattedrale di Rouen (31 dipinti ad olio di realizzati tra il 1892 ed il 1894; molte oggi sono al Musée d’Orsay di Parigi), nel punto di vista del portale e della torre Saint-Romain, non manca di inserire anche l’orologio, che testimoniava il passare del tempo, mentre l’artista ci mostrava impressionisticamente la netta variazione cromatico-luminosa della realtà proprio grazie al variare delle ore (e del clima) durante i suoi appostamenti da una camera davanti alla Notre-Dame della piccola città francese.

Tra gli artisti che hanno raffigurato uno o più orologi nelle loro opere c’è il padre della Metafisica, Giorgio De Chirico, che nelle sue tante Piazze d’Italia ideali – metaforiche wunderkammern del meglio che c’è in fatto d’architettura e atmosfera italiane – dipinge anche i vari orologi sulle torri, sui palazzi comunali o nelle stazioni, indicandoci che L’enigma dell’ora (1911, Kunsthaus, Zurigo) è qualcosa che tutti prima o poi sentiamo: è quella sensazione che – e non c’è lancetta che tenga! – ci fa desiderare che si “fermi il tempo” o che ce lo fa sentire sospeso

Un tempo che Pablo Picasso impiegava a dipingere e disegnare, rivoluzionando l’arte del secolo con il Cubismo, memore della lezione filosofica del soggettivismo di Henri Bergson, che l’artista riassume visivamente, mostrandoci la quarta dimensione (appunto: el tiempole temps) e la durata intesa proprio da Bergson, ovvero la continua e simultanea convergenza, nella coscienza e nella memoria, di presente e di passato; pittoricamente parlando, attraverso prospettive multiple simultaneamente qui e ora.

E poiché l’arte lo dice meglio – ogni cosa, qualsiasi analisi, sentimento,  intuizione – Frida Kahlo, affermando Que bonita es la vida, cuando nos da de sus riquezas (Com’è bella la vita, quando ci dona le sue ricchezze)nel 1943 ci rammenta l’importanza del tempo che va: tanto da non doverlo assolutamente sprecare; e l’orologio-sveglia è lì come monito, semmai dovessimo dimenticarcelo.

Nonostante la presenza di altri dispositivi per darci conto di secondi, minuti, ore e giorni…, l’orologio è un oggetto ancora insostituibile, anche come qualcosa di affettivo (lo si regalava negli importanti traguardi della vita; e come cimelio di famiglia passava di padre in figlio) e/o di culto: gli artisti lo hanno mostrato e continuano oggi a farlo.

Talvolta, legandolo a una memoria e storia da non dimenticare mai, con l’immagine di quell’orologio fermo all’ora esatta della deflagrazione (2 agosto 1980 alle 10:25) alla stazione di Bologna, una strage che è tra le pagine più oscure del nostro paese e acquisizione collettiva che artisti come Emilio Isgrò (con L’ora italiana, del 1985: installazione di 20 elementi con orologi montati su legno, Collezione Intesa Sanpaolo) e i più giovani Alessio Bolognesi (nel suo murale a Ferrara, nel parco dell’area ex Camilli) e Andrea Tarli (murale in memoria del 20enne veronese Davide Caprioli, sito nell’atrio del Polo umanistico dell’Università di Verona) tengono in vita proprio focalizzandosi su quelle lancette…

Lo sanno famosi registi di film celeberrimi: tra gli innumerevoli, citiamo Metropolis, 1927, di Fritz Lang (scena politica richiamata anche in Tempi Moderni da Charles Chaplin nel 1936), il comico Preferisco l’ascensore! del 1923, diretto da Fred C. Newmeyer, con un goffo Harold Lloyd in una scena pionieristica in quanto ad effetti speciali, e Il posto delle fragole (1957), di Ingmar Bergman, un film sul tempo per eccellenza, e su come esso ci cambia, sulle tante maschere che l’essere umano si mette per superare crisi, dolori e paura della morte.

Anche a questi possiamo legare un’altra opera d’arte, che valse al suo autore, Christian Marclay, il Leone D’oro alla Biennale di Venezia nel 2011: si tratta di The Clock di  film sperimentale di 24 ore che segna sempre l’ora giusta, realizzato montando un’infinità di scene e spezzoni con inquadrature di orologi presi da altri film.

Dunque, Arti e orologi (da polso e non) funzionano a meraviglia insieme: lo sanno bene alcuni brand, che hanno investito gli artisti del compito di customizzare l’orologio di turno.

Così, Hublot chiamò a collaborare Takashi Murakami, ad esempio; e Swatch, oltre a farsi partner della Biennale di Venezia, affidando, ad esempio per la 58ma edizione, a Joe Tilson l’incarico di riunire marchio, oggetto e arte visiva; o ispirandosi a celebri capolavori del MoMA, riprodotti – adattati – su quadrante e cinturino dell’orologio (di artisti quali: Vincent van Gogh, Gustav Klimt, Henri Rousseau, Piet Mondrian ed altri).

Preciso, affidabile, unione innovativa di basso costo e proverbiale alta qualità di una realizzazione svizzera, questo orologio in plastica nera nacque nel 1983 dall’idea lungimirante di Nicolas Hayek e ha avuto sin da subito un design accattivante affidato, di volta in volta,  all’estro di architetti (Renzo Piano), cineasti e registi (Akira Kurosawa, Spike Lee), designer di chiara fama; e di artisti: il primo a collaborare con la casa svizzera fu Christian Chapiron (Kiki Picasso) nel 1984, poi l’americano Keith Haring, uno dei grandi protagonisti della cosiddetta Street Art; poi Alfred Hofkunst e via via anche Jean Micheal Folon, Mimmo Paladino, Mimmo Rotella, Tadanori Yokoo, Beatriz Milhazes e altri.

Considerando anche le tante mostre focalizzate non solo sul tema del Tempo ma più specificamente sull’oggetto-orologio (tra le varie: O’Clock. Design del tempo, tempo del design, a cura di Silvana Annicchiarico e Jan van Rossem, Triennale Design Museum, Milano, ottobre 2011 – gennaio 2012 realizzata in partnership con il marchio di alta orologeria Officine Panerai), l’interesse del pubblico per il settore è enorme, confermato dallo specifico Mercato: le Case d’Asta di tutto il mondo battono orologi antichi e moderni a cifre notevoli, testimonianza di un bene (di lusso, e anche rifugio) che non si svaluta ma, esattamente al contrario, è un investimento.

Così, tra le numerosissime aste che testimoniano un fenomeno da sempre esistito, ma in costante crescita, eccone una nuova a convalidarlo: a Bolzano 100 orologi Swatch, rare edizioni assieme a modelli realizzati in esclusiva per la Coca Cola, saranno battuti da Bozner Kunstauktionen  il 3 dicembre 2021, data che si preannuncia affollatissima di prenotazioni.

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