AAI dei Mouse on Mars è una riflessione sul linguaggio algoritmico

L’ossessione del rendere caotiche le leggi, le sovrastrutture che governano la parola e la possibilità di donare all’intelligenza artificiale il linguaggio, è da qui che parte la ricerca dei Mouse on Mars. Il duo in AAI, disco lavorato insieme al collettivo Birds on Mars, ha cercato di slegare la costruzione di un linguaggio algoritmico dal campo dell’ingegneria informatica per coltivare le parole e le decisioni artistiche in un ambito più vicino all’antropologia.

AAI evapora i suoni, li rende incorporei, e aggiunge un tassello di riflessione al lavoro fatto anche con Dimensional People. Il cuore del ragionamento è però da spostare sul binomio musica-linguaggio: uno di quei temi che sin dall’inizio dei primi lavori connessi alla computer music ha prodotto teorie, disegni e un mare di spunti.

Spesso quando ascoltiamo un album, una playlist o una performance musicale, tornano e quadrano le parole del compositore americano Edgar Varese, che denunciava un sostanziale immobilismo della musica rispetto alle innovazioni: “Tra tutte le arti solo la musica sembra aver scelto di tenersi lontana da questo nuovo mondo in continuo fermento”. Lo scegliere di interagire con il magma è qualcosa che merita coraggio e rispetto, c’è sempre infatti il rischio più o meno ponderato di rimanerne inghiottiti.

Non tutti però sfuggono alla sfida e, negli anni, c’è chi ha lavorato a connettere innovazione artistica e scientifica: i MoM e Holly Herndon sono una punta dell’iceberg di un movimento di musicisti, compositori, artisti che cercano di ragionare in questi anni su temi come l’AI in musica.

Inferring Compositional Style in the Neo-plastic Paintings of Piet Mondrian by Machine Learning
David Andrzejewski, David G. Stork, Xiaojin Zhu, and Ron Spronk.
Electronic Imaging: Computer Image Analysis in the Study of Art (SPIE 2010)

Un disco strutturato su una voce guidata da un’AI può suscitare una varietà di riflessioni: una delle più interessanti, a parere di chi parla, è connessa al mettere in discussione la natura del linguaggio creato dalla rete neurale. Piet Mondrian aveva previsto, profetizzato l’epoca in cui l’uomo non avrebbe più avuto bisogno di strumenti del passato per fare musica: a sparire per il pittore olandese sarebbe stata soprattutto la voce.

Difficile da metabolizzare un assunto del genere dopo un decennio che ha visto l’affermarsi di strumenti utilizzati per correggere e modificare la voce, trasformandola in una nuova variazione su una tavolozza di suoni che sono diventati non semplicemente artificiali ma puro processo algoritmico. Jay-Z nel 2009 cantava la “D.O.A. (Death Of Auto-Tune)”, eppure non è stato così anzi, come spiega magistralmente Simon Reynolds, le possibilità si sono aperte e ormai integrate in ogni genere musicale. Con le intelligenze artificiali si va oltre, la macchina e il suo “tocco” diventano necessari, anzi diventano parte dell’annullamento dell’umano, esattamente come chiedeva Mondrian.

L’AI del disco dei MoM, da un punto di vista vocale produce strepitii, suoni e balbettii difficili da considerare nella nostra concezione linguistica. A perdersi è la corrispondenza tra suono e ciò che esso ci evoca, come ricorda Jeff Hawkins nel suo “On Intelligence”: “In the same way that we associate the sound of a train with the visual memory image of a train, we associate spoken words with our memory of their physical and semantic counterparts”. Immagine, memoria e parola sono parte di un legame indissolubile che ha nel suo centro l’elaborazione di un concetto.

Le intelligenze artificiali allora colpiscono e mirano a cambiare, rimpiazzare il nostro immaginario?
Forse, approcciandoci a dischi del genere, dobbiamo semplicemente sospenderci. In questo blackout possiamo ripensare la nostra idea di creatività attraverso la musica e una macchina.

La voce di Louis Chude-Sokei, pensatore, accademico e collaboratore dei MoM in questo progetto, spiega nel pezzo “Speech and Ambulation”: “What we still don’t know is what machines want. Now that they are no longer defined by computation, how will they talk?”. Le intelligenze artificiali non sono più definite dal calcolo, dalla pura ingegneria, ma fanno parte dell’orizzonte creativo che abbiamo a disposizione; da AAI emerge una propensione alla dissonanza dell’AI, alla rottura del consueto, ma questo passaggio i compositori l’hanno già compiuto storicamente ad inizio del ‘900.

Capire “come parleranno” le macchine è una domanda che ci mette sulla buona strada per scrutare che tipo di relazione ci potrà essere nell’arte, in particolare nella musica, tra noi e le AI. Curioso però come a proporre la giusta domanda sulle macchine sia stato l’algoritmo stesso: il bagliore di un’autocomprensione rende la singolarità tecnologica di Kurzweil più vicina, ma questo non deve gettarci in un clima da distopia.

I Mouse on Mars sono avanguardisti e AAI è il “Poème électronique” (composizione di Edgar Varese del 1958) generato con un nuovo linguaggio. Attualmente siamo ancora sospesi in un limbo, in una guerra fredda in cui vige una falsa contrapposizione tra uomo e macchina, e ci è impossibile capire le implicazioni di un futuro orizzonte sonoro. Nella sua condizione sospesa il linguaggio della musica non può che oltrepassarsi, superarsi.

Il disco dei MoM ci aiuta in questo processo sfruttando un linguaggio e una vocalità che non è alterata: non ascoltiamo un semplice gioco di frequenze, ma una costruzione oltre-umana.

(Gianluigi Marsibilio)