Marco Bachini Awards 2020

 

Vorrei fare un discorso sulla musica del 2020 senza magari ribadire cosa è stato il 2020. Ma l’intento è vano in partenza e me ne rendo conto da quanti aspetti emotivi, poco razionali e molto contestuali guidino queste scelte qui sotto. D’altronde l’ho sempre detto che le classifiche dell’anno andrebbero fatte cinque anni dopo. Figuriamoci se questa cosa poi avviene nel 2020. Ma ciò che rende le classifiche l’atto di gran lunga più soddisfacente al mondo è proprio questa componente di fregola e di compulsione accostata a un atteggiamento archivistico che è un mix tra aprire il frigo l’indomani di una festa con tanti insperati avanzi e lo schieramento da battaglia di tutti i robottoni migliori quando hai sei anni. Di certezze non ne ho. Ho solo impressioni. E la musica di quest’anno sembra bellissima.

Il senso della foto sopra si palesa alla numero uno delle mie canzoni. Il senso dell’immagine di anteprima, giusto qualche posizione a seguire.

Le mie 25 canzoni

Inizio dalle canzoni anche se non lo si fa quasi mai. L’ordine qui è rigorosamente capovolto perché, personali come sono, mi piace snocciolarle a ritroso.

25. BDRMM – Happy

Inizio da questi chitarrini che dipingono un’atmosfera abbastanza shoegaze ma anche apparentata con i Cure. Non è che siano nuove, queste cose. È che, quando le sento sto particolarmente a posto.

24. Kelly Lee Owens –  Jeanette

Questa canzone è un frullatorino che trita capsule di vitamine. Una spirale che fa tutto il suo percorso. Si prende i suoi minuti ma è il tempo che serve per questo girotondo.

23. Jorge Elbrecht – Ancient Grief

Elbrecht in un modo o in un altro è dentro a tutto il pop che piace a me. Sempre più inquietante, sempre più limpido nella scrittura. E non so come faccia a far andare le due cose insieme.

22. Blue Hawaii – I Felt Love

C’è un po’ di house, ci sono gli anni ’90, ci sono intensità pop e fisicità. Ritmiche così robuste che le vedi e le tocchi. La musica per il club che nel 2020 hai avuto solo in testa.

21. Wild Nothing – Foyer

Wild Nothing più tutta l’eleganza di Jorge Elbrecht in regia. Una canzone pop laccata che viene giusto un po’ destrutturata e poi ricostruita ancora più luccicante.

20. M!R!M! – Survive

Jack Milwaukee, da Lucca a Londra. Più del video esoterico mi piace il frame di questa copertina. Siamo tra Cocteau Twins, Black Marble e M83. Il giro di sintetizzatori è già immortale.

19. Destroyer – Cue Synthesizer

La traccia più sensuale, subdola, marziale e industriale (senti quanta roba) di un disco bellissimo. “Have We Met” è uno degli album più imprescindibili e rappresentativi di quest’anno.

18. Tame Impala – Breathe Deeper

Forse il pezzo che rappresenta meglio il corso d(e)i Tame Impala da “Currents” in su. E poi è un po’ un mixtape con tre brani in sequenza ed un ispiratissimo finale sintetico.

17. Jessy Lanza – Lick In Heaven

Qui Jessy Lanza mostra il lato più giocoso e autoironico di una musicista che, a dire il vero, sa prendere tutto il tema dell’elettronica intelligente parecchio sul serio.

16. Gorillaz feat. St. Vincent – Chalk Tablet Towers

La collaborazione più riuscita di “Song Machine” è anche quella su cui si sono puntati meno riflettori. Albarn e St. Vincent qui affiatatissimi, spontanei, bellissimi. Sembra che ballino.

15. Sufjan Stevens – Video Game

Un pezzo piuttosto quadrato (ha trovato giusto spazio in radio, infatti). Eppure c’è quel cavolo d’intensità che, porca miseria, Sufjan Stevens non riesce a non trasferire nelle sue cose.

14. Caribou – Never Come Back

L’elettronica ispirata di una trentina di anni fa ispira a sua volta questa traccia del disco più sfaccettato di Dan Snaith. Però, sia chiaro, “You And I” non sta qui solo perché l’avevo già messa nella classifica del 2019. E poi, dio benedica le vocine pitchate sempre.

13. Sault – I Just Want To Dance

La capacità (che poi è in tutto il materiale intestato a questo nome) di dosare tradizione black e scrittura attuale, vibrazione della denuncia e morbida classe.

12. Fontaines D.C. – A Lucid Dream

Il video è esattamente quello di cui la canzone ha bisogno. Una traccia che a me piace collocare tra  “The Fire” dei Sound e gli Oasis del primo disco.

11. Phenomenal Handclap Band –  Riot

La cosa che nel 2020 ti fa assopire in Italia e ti fa risvegliare a New York. La strada vista dal quindicesimo piano. Giù i  taxi, le macchine della polizia, la gente e poi altra gente.

10. Alien Nosejob – Alien Island

Pop con un bel po’ di chitarre, sbilenco e weirdo come il miglior Ariel Pink. Poi, ovvio, funziona anche perché sotto c’è una grande intuizione melodica da sporcare un po’.

9. SaD – Don’t Go

Questa è una delle iniziative di Simona Castricum, artista australiana che non sa essere banale mai. Anche qui Cure, atmosfere dark, un filino di electroclash. Tecnicamente, la canzone (che ha anticipato l’album) è uscita nel 2019 ma è nel 2020 che è fiorita.

8. Róisín Murphy – Something More

Canzone sublime della nostra regina assoluta. Da assaporare con il video che la ritrae in questo lockdown dorato e fuori dal tempo. Dal primo all’ultimo secondo, dalla tavola con sopra le bottiglie della sera prima al tuffo in piscina che è un’arresa e un trionfo insieme.

7. Tim Koh – Falling Into Your Dream

Direttamente dalla crew di Ariel Pink, il monumentale bassista ha pubblicato un disco in cui s’impone questa traccia, altrettanto monumentale. Una canzone così non è solo figlia di quel mondo. È quel mondo.

6. Empress Of – Maybe This Time

Una delle canzoni a cui sono più legato. Una ritmica latina e la capacità, come suo solito, di frullare Neneh Cherry, la Madonna degli esordi e l’approccio di queste meravigliose ragazze con i sintetizzatori (Jessy Lanza, Kelly Lee Owens). Poi c’è questa cosa che succede al minutaggio 1:55 e lì addio.

5. Yves Tumor – Kerosene!

Instant classic nel senso più stretto possibile. Tra gli ingredienti è difficile trovarne uno che sovrasta gli altri. L’attitudine glam, le chitarre come una volta, il maschile e il femminile così combinati e interconnessi. Sarà perché il 2020 sembra infinito ma mi sembra di amare questa canzone da quarant’anni.

4. Arca – Time

Una canzone con questa struttura a livelli e questo dna ibrido è un miracolo che sia contemporaneamente anche una farfalla pop, più leggera della cosa più leggera che possa esser circolata in quest’anno pesante. Le magie le posso anche criticare ma continuo a chiamarle magie.

3. Charli XCX – I Finally Understand

È difficile dire perché sia così in alto. Credo che qui (come in tutto l’album) ci sia stata la capacità anche furba di rappresentare questo tempo. Fatto sta che sono quasi sei mesi che provo a smontare questa ossessione e non ci riesco. A parte il testo (che volendo è la nota meno forte) non c’è un frammento in questi due minuti e mezzo che non s’incastri in modo spontaneo con tutto. Con tutto quello che sta nella canzone e con tutto quel che ne sta fuori, da sei mesi.

 

2. Destroyer – It Just Doesn’t Happen

Ok, tecnicamente non si fa. Siccome era stata presentata nel dicembre 2019, l’avevo già messa nella classifica scorsa. Ma è di nuovo qui perché ha accompagnato quest’anno, fedele e istintiva come un animale. Quel giro, gente, non se ne va ancora.

1. Tame Impala – Lost In Yesterday

Come ho già scritto da queste parti c’è stato questo primo ascolto a volume alto il giorno che è uscita a gennaio come singolo (così come sotto, il video è arrivato più avanti e mi piace meno). Boh, il sole, Mattia con la chitarrina verde, questa strofa che si srotolava e ogni parola, ogni nota, andavano lì dove volevo io. E mi faceva quasi ridere perché sembrava che la stessimo inventando noi, io e Mattia.

 

I miei 20 album

Sui dischi posso andare in ordine decrescente, tanto i primi due si è capito quali sono. Qui, mettendo da parte un po’ dell’istinto, ho ripensato a quei lavori che, sempre dalla mia prospettiva, mi hanno coinvolto non solo per via delle canzoni ma anche per una spiccata organicità, qualsiasi cosa voglia dire.

 

1. Tame Impala – The Slow Rush

L’album che ho ascoltato di più. Sono i contatori che mi inchiodano. Mette insieme quel concetto di organica compattezza e riconoscibilità e quella presenza di quattro o cinque tracce killer. Ma killer veramente.

2. Destroyer – Have We Met

Un disco uscito prima che il mondo si ribaltasse in curva. Ma con già il mood di chi alza la testa incredulo dopo qualcosa di molto pericoloso e altrettanto surreale.

3. Arca – KiCk i

Il disco pop di Alejandra Ghersi che poi, ovviamente, pop non è. Per me, nella morbidezza di alcuni suoi ingranaggi c’è quel che lo rende molto più dirompente del suo predecessore.

4. Yves Tumor – Heaven To A Tortured Mind

Una tavolozza ricchissima che dà, alla fine, un risultato estremamente compatto. Certo, l’elettronica sembra un po’ più laterale, come presenza. Sennò lo mettevo in vetta.

5. Caribou – Suddenly

Un disco partito senza clamore che poi, a detta di molti, ha macinato terreno,  consensi e ascolti lungo tutto quest’anno. Che poi i dischi da “premiare” quando si fanno i bilanci sarebbero proprio questi qui, credo.

6. Sault – Untitled (Rise)

Aver votato questo qui anziché “Black Is” nella classifica generale di redazione può essere sembrato tipo una croce sul simbolo di Italia Viva. Perdonatemi. Il fatto è che l’inizio, la sequenza delle prime quattro, tramortisce.

7. Empress Of – I’m Your Empress Of

Hai presente quel disco che vorresti far arrivare in tutte le case per posta, dalle finestre o dai rubinetti perché hai la sensazione che non tutti quelli che lo amerebbero abbiano avuto l’occasione? Eccotelo.

8. Fontaines D.C. – A Hero’s Death

Una band che si è già confermata, evoluta, ricalibrata. Forse è per quanto sembrano dilatati questi dodici mesi che i Fontaines D.C. ci pare che ci accompagnino da un sacco.

 

9. Róisín Murphy – Róisín Machine

Lei è così. Si cala nei differenti progetti,  si adatta, si sintonizza con i produttori, con i linguaggi e con le canzoni e poi, in conclusione, la protagonista assoluta, nella sua unicità è sempre e solo lei.

10. Sufjan Stevens – The Ascension

Quando è uscito c’è chi ha chiesto se facesse piangere anche questo. E la risposta, beh, direi che è no. O, forse, un minimo, che ne so. Ma probabilmente, ecco, sì.

11. Kelly Lee Owens – Inner Song

Un disco di elettronica che sa mostrare le tante facce di questa parola. Sarà un discorso già fatto ma questo è uno di quegli album di cui non comprendi la ricchezza se non ti metti a sentirtelo tutto per benino.

 

12. Khruangbin – Mordechai

Solo perché oggi sono più decifrabili non vuol dire che abbiano abbassato il livello. Hanno macinato talmente tanto in quest’anno che se uno non li cita fra i protagonisti è perché non sa dove mettere la dannata “h” nel nome.

13. Jessy Lanza – All The Time

Il secondo album girava ogni tanto a vuoto. Questo rimette tutto a posto. Tra l’altro, lei grandissima in fase di lockdown con i set casalinghi come dovrebbero davvero essere.

14. Gorillaz – Song Machine

Da un certo punto di vista è il solito minestrone in cui Damon Albarn vuol mettere dentro tutto. Il punto, però è che il risultato, se si ha la pazienza di un terzo ascolto, non ha niente di superfluo. Alla fine ha quasi sempre ragione lui.

15. Moses Sumney – Grae

Uno dei protagonisti veri della musica di questi tempi. Su disco, certo ma anche per la capacità di emozionare ogni volta che in generale ha preso il microfono in mano.

16. Il Quadro di Troisi

Forse la cosa migliore che è uscita dall’Italia, fatta peraltro per non restare in Italia e basta. Qui c’è il coraggio di riprendere un nostro patrimonio che in generale tutti vedono, tranne noi.

 

17. Algiers – There Is No Year

Meno spiazzanti che agli inizi, ok. Eppure hanno ridefinito in maniera nitida il loro marchio e hanno precorso (a gennaio) una stagione di fermento e ribellione che doveva ancora iniziare la sua materializzazione. 

 

 

18. Phenomenal Handclap Band – PHB

Un disco che non inventando proprio nulla sa lo stesso generare un’idea di avanzamento. A qualunque livello lo si voglia intendere.

19. Rolling Blackouts C.F. – Sideways To New Italy

Tra i dischi pop con le chitarre è uno dei più freschi, coesi, belli. Ci metterei un punto qui, così.

 

20. Peaking Lights – Escape

Nonostante l’accessibilità della loro proposta, entrare nel mondo di questa coppia è fare un salto dimensionale. E anche “Escape” ha valore, soprattutto in questo anno, se lo s’intende per ciò che è: un rifugio.

L’ammazzacaffè:

I miei 5 EP

 

1. Wild Nothing – Laughing Gas

Lo ribadisco. Tatum più Elbrecht sono il connubio più indovinato di questi anni.

2. James Blake – Before

Sbaglierò ma questo Blake qui, incisivo, dinamico, meno etereo è quello che io apprezzo di più.

3. Blue Hawaii – Under 1 House

Dopo prove un po’ ondivaghe non l’avrei detto. E invece, ecco un micromixtape divertente e un po’ fuori dai canoni.

4. Laura Groves – A Private Road

Ancora un Ep (che sembra il suo formato prediletto) e ancora molto bello. In questa categoria lei non può quindi essere trascurata.

5. Khruangbin & Leon Bridges – Texas Sun

Ancora Khruangbin. Ma qui sottolineo la capacità di dividersi le parti, la scena, la fatica con Leon Bridges. Un altro che mi piace ringraziare.