Coverworld, il perché di una rubrica

Ho sempre avuto un brutto rapporto con le cover, il rifacimento delle canzoni da parte di altri artisti, e forse a livello inconscio questa mia naturale diffidenza nasce da quel terribile fenomeno – nato più o meno negli anni ’90 – delle “cover band”, che ha rovinato a poco a poco i palchi di mezza Italia e la musica dal vivo (finché si poteva farla) riempiendo spazi che sarebbero stati più opportunamente riempiti dalla creatività di altri musicisti e lobotomizzando le orecchie degli astanti che in questo modo ricevano passivamente note che già conoscevano e non venivano istruiti e solleticati a sviluppare un proprio gusto autonomo.

L’equivoco di base è una personale intransigenza per un mito (inesistente, a guardar bene) della creatività in quanto tale, affibiando al rifacimento una patente di minor valore artistico. In realtà – oggi – devo ammettere che la nostra cultura (e arte) attuale e passata prossima è intrisa di citazioni, campionamenti, cut up, spezzettamenti, riferimenti, perché molto è già stato indagato e la citazione aiuta il pop a essere più veicolabile. O, meglio, è il citare (o il rifare) che è pop, perché tramanda la cultura popolare di chi già conosce qualcosa e si trova a suo agio nel vederla replicata.

Tutto questo incipit un po’ sbrodolone per dire che sì, è strano che proprio a me sia venuta in mente questa rubrica che ha per oggetto le cover, ma tutto ha un senso. I servizi di streaming hanno dato la possibilità, con la semplice ricerca all’interno dello scibile discografico, di aver elencati a portata di ascolto (quasi) tutti i possibili rifacimenti di un tal brano, e per questa via mi sono imbattuto a riflettere su come artisti sconosciuti siano riusciti a cogliere un aspetto minore di un brano e svilupparlo in maniera superlativa.

Il la definitivo mi è venuto quest’estate quanto due artiste di punta (Kelly Lee Owens e Lianne La Havas) hanno rifatto un brano (che amo, ma in fondo amo tutto quello che hanno fatto Yorke e compagni) dei Radiohead, ovvero “Weird Fishes / Arpeggi”, e infatti quella canzone sarà l’oggetto dell’articolo “pilota” di questa rubrica che sarà pubblicato domani.

Perché – riflettendo bene – l’analizzare le molte versioni esistenti fa emergere veramente la canzone: in sé, con i suoi passaggi armonici, la sua atmosfera, il suo non detto. O piuttosto fa emergere la canzone con le sue mille immagini, mille sfaccettature, il che è poi lo stesso. Anche le persone sono “uno, nessuno e centomila”, vero?

(Paolo Bardelli)