JON HASSELL, “Seeing Through Sound: Pentimento Volume Two” (Ndeya, 2020)

Dobbiamo alla Glitterbeat quella che negli ultimi anni è stata una “riscoperta” di Jon Hassell o quella che è stata per molti ascoltatori semplicemente una scoperta, la possibilità di venire a conoscenza per la prima volta della musica e del pensiero di un musicista e compositore che sarebbe riduttivo definire come “sperimentale”. Jon Hassell muove alla musica con un approccio di carattere filosofico e sociologico: il suo lavoro non riguarda solo la sperimentazione nel campo della musica e dello strumento (è fondamentalmente un trombettista) e per quello che riguarda forme di composizione minimaliste, ma muove da considerazioni che sono rilevanti per quelle che sono le dinamiche, così mi piace intendere considerando il carattere anche “cinetico” della sua musica, che muovono il mondo e le persone che ne fanno parte.

La musica di Jon Hassell è un coacervo di civiltà passate, presenti e future. Lungi da ogni allegoria o rappresentazione carnevalesca, il pensiero di Jon Hassell è raffinato, sottile, sicuramente intellettuale, ma ha trovato con la musica una chiave per veicolare questo messaggio in una maniera intensa e che riesce a smuovere nel profondo gli ascoltatori, trasportandoli in quel famoso “quarto mondo”, che ha voluto concepire e che è una dimensione spaziale e temporale, ma – come rappresentato – pure concettuale e quindi emotiva.

La Glitterbeat ha prima ripubblicato i due fondamentali “Possible Musics” (con Brian Eno” e “Dream Theory In Malaya”; qualche mese fa ha dato alle stampe il disco “Flash Of The Spirit”, realizzato con i Farafina di Mahama Konaté, mentre nel 2018 aveva pubblicato “Listening to Pictures”, il primo capitolo della serie “pentimento”, che si conclude adesso proprio con questo nuovo album.

“Seeing Through Sound” sempre in chiave “quarto mondo”, come il suo predecessore, è stato concepito secondo la tecnica del “pentimento”, quindi, cioè il ripensamento, quelle correzioni sensibili, impercettibili a occhio nudo e che costituiscono lavorazioni in corso durante la realizzazione dell’opera da parte dell’artista. Abbiamo parlato di energia cinetica e di dinamismo, sono sicuramente due caratteri che contraddistinguono questo album, la cui traccia principale si intitola simbolicamente “Timeless”, proprio come sottointendere il fatto che un disco di Jon Hassell sia un’opera d’arte, ma allo stesso tempo essa stessa parte di un quadro più ampio. È un processo. Ed è interessante forse concepire in questa maniera un disco così, oggi, dopo che è finito il secolo che ha visto l’affermazione della musica leggera e forse la fine della storia della musica classica e adesso che il Covid-19 ci ha messo davanti all’evidenza della fine di una intera epoca e se è vero che uno stato di crisi consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere e che “in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”; se è vero che abbiamo visto morire molte persone anziane in questi mesi, pensando che questo fosse “giusto” oppure inevitabile; se c’è una spaccatura così evidente a ogni livello del mondo in cui viviamo, significa che questa pandemia ci ha solo reso in maniera manifesta e evidente lo stato del mondo in cui viviamo.

Eppure non può esserci niente di nuovo se prima non riusciamo a fare i conti con il passato e questo possiamo farlo solo con un processo che abbia una natura critica e una visione improntata al futuro e questo disco, letteralmente, fa vedere attraverso la musica. Il quarto mondo di Jon Hassell è avant-jazz, minimalismo e ambient a tinte noir e che rispetta quelli che possiamo definire come “tempi”. Qui sta forse il carattere universale della musica e la sua bellezza che non è solo intrinseca ma che permea l’ambiente e si diffonde facendoci vedere le cose. Degno del suo predecessore, “Seeing Through Sound” in fondo lo rivisita e si rivisita ogni volta in una maniera notevole e Jon Hassell ci dimostra che pure all’età di 83 anni, la riflessione e la critica sono alla base di processi che non trascurano affatto quella che è la componente emotiva.

82/100

(Emiliano D’Aniello)