WHITE POPPY, “Paradise Gardens” (Not Not Fun Records, 2020)

Dissolversi negli ’80. Omaggiarli rendendo pulviscolo quel POP che invece di invecchiare tende a diventare parte integrante del ricordo. Dream, si, perché quello che succede di notte spesso è migliore di quello ci accade in queste giornate tutte uguali. Pop, si, perché le melodie sanno ritrovarci attenti a catturare l’incanto. Crystal Dorval, in arte White Poppy, ritorna con un disco chiamato “Paradise Gardens”. Giardini che si tingono di colori tenui, leggiadri acquarelli di sogni ad occhi aperti.

Apre “Broken” e sembra di vedere I Cure che nuotano in un mare azzurro, fotografia di fine estate con il tramonto che sancisce che c’è una fine ma che ci sarà fortunatamente anche un nuovo inizio. Sintetico divagare, voce da sirena che richiama distratti marinai assorti nel frenetico caos da informazione. Qui c’è solo calma, “Sedation Song” ne è la prova. Poi si assiste inerti al delicato abbandono delle forze. Battiti sintetici, slow motion di un film ambientato nella fase rem, le chitarre ovattate che delicatamente ripercuotono i nostri sensi. “Phoenix” chiude le danze. Non vorremmo mai svegliarci.

70/100

(Nicola Guerra)