RINA SAWAYAMA, “Sawayama” (Dirty Hit, 2020)

“Sawayama”, l’album di debutto di Rina Sawayama per la Dirty Hit Records, è il culmine di un processo di maturazione che l’artista giapponese naturalizzata britannica porta avanti da anni. Al netto di alcuni difetti, l’album regala quarantatré minuti convincenti e a tratti anche molto brillanti. “Catch me before I fall”, canta Sawayama in “Dynasty”, il pezzo che apre il disco. Si tratta di un progetto oscuro, multiforme e profondo. Dato il contesto la frase non è soltanto una richiesta di aiuto ma anche una dichiarazione di poetica. Sawayama sta entrando nella “darkness of the world”, un luogo di perdizione e ricerca entro il quale può dare vita a quell’eclettico mix di generi, tematiche e stili che l’autrice esplora con sicurezza e coerenza.

È difficile rintracciare tutte le fonti d’ispirazione di “Sawayama”. Si finisce per giudicarlo come un unico grande ammasso mutante e mutevole. Nella perenne aporia tra innovazione e tradizione che Sawayama sceglie di indagare, quel “Catch me before I fall” che compare all’inizio del disco diventa anche prolessi perfetta dell’opera intera. Ancor prima che la frase venga pronunciata si è letteralmente precipitati in un horror vacui di generi e stili coraggioso e vibrante. Certo non sorprende che l’artista, che ha base a Londra, in un’intervista per l’NME dello scorso novembre abbia definito l’album «basically my teenage years all shoved into one record».

Non si esagera se si afferma che questi suoi “teenage years” non hanno quasi confini, ma Sawayama guarda anche a certe sue coetanee. Emerge, violento, il lato più dark e aggressivo di Grimes, specialmente del suo ultimo lavoro, Miss Anthropocene, specchio di un’era che sta terminando. I panorami musicali che esplora Sawayama sono talmente ampi che è sorprendente il modo attraverso il quale li abbina a un’innata spinta all’innovazione. Tra le influenze che provengono da un passato recente, l’universo di fine ‘90s e di inizio ‘00s la affascina non poco. È un amore sincero ma anche problematico, perché il passato viene sempre “corretto” con il contemporaneo. Ne è un esempio perfetto “Comme des Garçons (Like the Boys)”, un concentrato zuccheroso di Britney Spears e Christina Aguilera integrato con raffinate soluzioni à la Ariana Grande.

Da una strana commistione di dance e pop di qualità pesca “Who’s Gonna Save U Now?”, dove gli elementi spearsiani vengono declinati in un magma di chitarre distorte che permettono la costruzione di un anthem da stadio decisamente atipico. Sawayama si propone come una specie di anti-star. Non compone un banale pastiche, non si accontenta di suggerire o citare. Si avventura in torsioni complesse uscendone spesso brillantemente. Se “Bad Friend” sa coniugare un tappeto elettronico conturbante con un raffinato uso del vocoder, “Love Me 4 Me” è un pop sfacciatamente da Billboard che non annulla gli elementi di originalità dell’autrice.

Questo approccio, che alla lunga potrebbe annoiare, in “Sawayama” non perde mai la sua carica di sensualità. Nell’educato R&B che è “XS” il pop viene ricondotto a una dimensione seducente e onirica, quasi vicino a Sade, mentre la splendida “Snakeskin”, una marcia da fine dei tempi che chiude con mestiere l’album, è debitrice di Grimes e crea un senso di smarrimento e inquietudine grazie anche alla ripresa della Victory Fanfare di Final Fantasy VII e a una performance vocale notevole. Disperata ma intenzionata a combattere, mentre canta «Wear me out and tear me down» Sawayama sembra rivolgersi al mondo intero più che a una situazione o a una persona in particolare.

Tra i propositi del disco vi è quello di sciogliere metal, rock e pop dalle loro ingombranti storie, un fine chiaro sin dall’inizio. Già in “Destiny” Sawayama guarda a band come No Doubt ed Evanescence. In un passo cruciale di un’intervista per Dazed definisce gli Evanescence «a little pocket of culture that people are maybe too scared [to reference]». Sawayama aggira questo potenziale ostacolo con intelligenza e furbizia. Lo fa strizzando l’occhio ad artisti (gli Evanescence stessi, i Garbage, i Neptunes) che avevano già provveduto a mescolare e a intrecciare generi e moods. Alleggerendoli del fardello che impedisce loro di evolvere, Sawayama prova ad adattare questi generi ai tempi strani nei quali viviamo. In un’intervista per Pitchfork, discutendo della sua nuova avventura con la Dirty Hit Records, ha dichiarato che a ispirarla in questa operazione ambiziosa di slittare da un genere all’altro è stato anche l’esempio dei 1975, membri della stessa etichetta.

In “STFU!”, uno dei picchi del disco, che guarda a Grimes come a Poppy, un riff nu-metal aggressivo e insistente conduce a una sorprendente apertura nel chorus, che mescola pop e R&B. Il pezzo rappresenta il traguardo del percorso che Sawayama intraprende. Non scendere mai a compromessi, sia artistici sia personali, sembra l’imperativo categorico che l’autrice impone a se stessa. “How come you don’t expect me / To get mad when I’m angry?”, si domanda, facendo riferimento a un grave episodio di razzismo che ha subito all’interno del mondo dell’industria discografica. «We can’t just normalise using Japanese culture in the way that we’ve been doing», dichiara nella già citata intervista per l’NME. Sawayama denuncia queste violazioni-violenze utilizzando talvolta il linguaggio dei suoi “teenage years”, talvolta la superiorità di chi sa di potersi prendere le proprie rivincite nel modo migliore possibile: grazie alla propria arte. È un’indignazione che attraversa l’album dall’inizio alla fine, un fil rouge che mantiene in piedi tutta la sua impalcatura.

I momenti electro-pop più nobili di “Sawayama” superano di gran lunga, in bellezza, i brani migliori dell’EP “Rina”, uscito ormai tre anni fa, e dimostrano quale grado di maturità abbia raggiunto l’autrice. Accanto a questi convivono anche alcuni passaggi confusi, dove la mescolanza di generi non si adatta alla forma-canzone che Sawayama ha in mente, vedasi “Chosen Family”, o dove, semplicemente, la scrittura appare poco ispirata, come in “Akasaka Sad” e “Paradisin’”. Ma la grinta di Sawayama e l’ottima produzione di Clarence Clarity riscattano anche gli episodi più deboli.

 

75/100

(Samuele Conficoni)