Cos’è la “spotifizzazione”? Ce lo spiega Rasmus Fleischer

Continuano gli approfondimenti di Gianluigi Marsibilio sui temi chiave dell’evoluzione economica e tecnologica della musica. Dopo l’inchiesta sul sostentamento del sistema musicale a seguito del Covid-19, questa volta Gianluigi approfondisce l’evoluzione di fruizione musicale tramite lo streaming.

Spotify è una gigantesca metafora dell’intero settore culturale. Dalla musica ai podcast, che hanno cambiato il modo di fare radio e di raccontare le storie, la società svedese dal 2008 ha favorito un nuovo modo di interagire degli utenti, delle persone, con l’intera produzione culturale, non solo della musica.

La “spotifizzazione” allora è un tema fondamentale e ne abbiamo parlato con l’esperto del tema Rasmus Fleischer, che ha scritto un’interessante pubblicazione sul tema della “universal spotification” culturale (“Universal Spotification? The shifting meanings of “Spotify” as a model for the media industries”). Rasmus Fleischer è ricercatore in storia economica all’Università di Stoccolma: il suo lavoro accademico ha riguardato soprattutto la storia dei media e l’economia politica, con particolare attenzione alla musica. È stato anche coautore del libro “Spotify Teardown” (MIT Press, 2019).

Il modello Spotify, nonostante non sia univoco, nasconde tanti criteri che sono stati ripresi da varie startup per promuovere un modello simile, applicandolo alle notizie, ai libri, alle riviste e ad ogni aspetto del settore culturale.

Al centro di questo modello commerciale c’è sicuramente il concetto di hype, ovvero lo stabilire un flusso di notizie, rumors e anticipazioni che spostano l’attenzione e l’attesa su un particolare elemento. Una definizione interessante ci viene direttamente dal paper del professor Fleischer, all’interno del quale viene identificato questo processo come un meccanismo per “modellare il futuro partendo dal presente”.

Per capire però questa circolarità che Spotify ha plasmato bisogna ricordare com’è nato tutto ciò: «Almeno in Svezia, il processo è stato strettamente collegato ai conflitti sociali e politici per la condivisione dei file e l’applicazione dei diritti d’autore, compreso il processo legale contro The Pirate Bay (sito di file sharing celebre in Svezia e attivo 2003). L’industria musicale – ci ha spiegato Fleischer- probabilmente non avrebbe accettato di concedere i brani in licenza se non fosse stata così disperata».

Con il passare degli anni e lo sviluppo del modello tutto si è fatto molto più complesso, fino a quella che possiamo definire nel 2010 «svolta curatoriale di Spotify», infatti Fleischer insiste su questo punto: «Prima di allora, Spotify era fondamentalmente concepito come un grande archivio».

La svolta arrivata nei primi anni ’10 è stata importante e ha definito lo streaming nella misura in cui lo utilizziamo e conosciamo oggi: «A partire dal 2013, il servizio è stato ripensato in modo da dare più importanza alle raccomandazioni. Questo non presuppone più che l’ascoltatore sappia cosa cercare, infatti viene presentato un flusso infinito di musica».

Un cambio, una rivoluzione del genere, offre degli spunti importanti e forse riporta alla domanda che il nostro Paolo Bardelli si poneva in My2Cents: «Non è forse giunto il momento che Spotify, Deezer e le altre piattaforme diventino a tutti gli effetti delle etichette discografiche?”. Il cambio di direzione ha infatti dato un altro tipo di influenza a Spotify sul modo di ascoltare musica da parte delle persone e sarebbe interessante vedere come questo tipo di ragionamento ha portato allo sviluppo e alla crescita di alcuni generi su altri. Fleischer ci ha fatto notare ad esempio che: «La musica descritta come “chill” si adatta particolarmente bene al nuovo paradigma».

Non esiste un solo modello per descrivere e racchiudere le infinite sfaccettature del settore culturale e musicale: «All’inizio si pensava che il “modello Spotify” fosse legato all’accesso gratuito, lasciando che il tutto fosse finanziato solo dalla pubblicità». Nel corso degli anni però tutto è stato pensato e strutturato sotto forma di abbonamenti mensili e oggi, grazie alla cura e alla gestione dei Big Data, nel settore musicale riusciamo ad avere delle previsioni affidabili sul settore. Il cambio di strategia è stato segnalato anche in un articolo uscito su Wired che indica come: «I consumatori si sono abituati sempre più all’idea di pagare per accedere ai media digitali che una volta ricevevano gratuitamente» e infatti dei dati del 2018 ricordano come ora solo il 10% delle entrate di Spotify derivino dall’ingresso pubblicitario.

Per addentrarsi in un discorso prettamente musicale, si può notare che Spotify e co. hanno contribuito a «distruggere l’album, ora contano i singoli fatti per entrare in playlist». Nel corso degli anni però «è anche ipotizzabile che Spotify cercherà di integrare le playlist rilasciando direttamente musica. In ogni caso – ha ricordato Fleischer- non dobbiamo dimenticare che ci sono movimenti importanti che si sviluppano al di fuori di Spotify e addirittura anche in opposizione ad esso. Un esempio potrebbe essere l’ascesa del cosiddetto Soundcloud Rap».

Il fenomeno di Spotify e delle piattaforme di streaming nella musica può allora essere legato all’analisi più profonda di un panorama mediatico che va verso una cultura algoritmica. Da questo punto di vista tra i vari servizi, ci ha spiegato Fleischer: «Netflix si è occupato di raccomandazioni algoritmiche molto prima di Spotify». Il servizio di streaming musicale invece ha iniziato a curare questo aspettato particolarmente dalla sua svolta “curatoriale”. Questo fenomeno di cura delle playlist, tramite algoritmi, viene fuori da tutta una serie di scelte fatti da servizi come Songza, che utilizzava esperti di musica per indirizzare gli ascolti già nei primi anni 2000, o Pandora che per prima aveva introdotto nel sito un sistema di parole chiave per categorizzare la musica.

Il tema di una cultura dell’algoritmo allora sicuramente sarà un passaggio fondamentale da affrontare, magari proprio in una delle prossime “inchieste”, per capire come stia cambiando la musica, perché è fuori discussione che il modo di fruire la musica cambia e influenza direttamente la sua connotazione sonora e culturale.

In questo momento di lockdown la cultura, in particolare la musica e il cinema, sono migrati sulle piattaforme digitali e allora ci sembrava giusto riflettere sulla “Spotification” e offrire uno spunto per futuri approfondimenti sul processo di digitalizzazione e i suoi meccanismi del settore musicale.

(Gianluigi Marsibilio)