Todays Festival, o il canto del cigno del festival tradizionale

Todays Festival, 23-25 Agosto 2019, Torino

Fareste una spietata recensione in stile Tripadvisor dell’unico ristorante disponibile nel raggio di 200 chilometri dopo una settimana di digiuno nel deserto? Sareste severi nel parlare di quell’appartamento bruttino trovato su Airbnb se l’alternativa fosse stata dormire sotto un ponte? Se una sera soffriste di solitudine in casa, non uscireste con il vostro amico un po’ rompicoglioni anziché impiccarvi? Probabilmente no per le prime due domande, probabilmente sì per l’ultima.

Questa è più o meno il genere di interrogativi esistenziali che passano per la testa durante i tre giorni del Todays, appuntamento di fine agosto che ormai da cinque anni porta musica e spettatori nella periferia torinese: ha senso cercare il pelo nell’uovo, eventuali difetti nella programmazione o di organizzazione di un festival nel periodo storico culturalmente più triste e povero che l’Italia abbia mai vissuto dal dopoguerra, anziché limitarsi a ringraziare una persona che ha ancora voglia di fare come il direttore artistico Gianluca Gozzi?

Torino, come molte città italiane, non se la passa bene dal punto di vista della musica live e del clubbing, tra scelte politiche poco lungimiranti e legislazioni proibitive, e così i 3 o 4 festival medio/grandi che si alternano durante l’anno nel capoluogo piemontese sono diventati l’unica fonte di ossigeno per chi prova ancora piacere a stare in piedi davanti ad un palco. Ovviamente, in un mondo utopico ed ideale dove organizzare concerti non è solo una serie di problemi, di critiche logistico-organizzative da indirizzare al Todays ce ne sarebbero, come le code infinite all’Ex Fabbrica Incet per fare qualsiasi cosa, o lo scomodissimo e già obsoleto “bicchiere amico” che ti fa venire ancora più voglia di inquinare, fino ad importanti questioni legate alla line up. Ma in quest’ultimo caso torneremmo agli interrogativi esistenziali: ha senso lamentarsi della mancanza totale di artiste donna o di varietà (di generi musicali e non) nel cartellone in un momento in cui è più probabile che un festival non abbia luogo o faccia schifo? Ovviamente no. E poi, appunto, il Todays non fa affatto schifo, anzi è il miglior festival italiano dal punto di vista dell’identità e della coerenza tra i nomi chiamati ad esibirsi.

Gozzi ed il suo team, dal momento che sono capaci a fare il loro lavoro dopo anni di esperienza sul territorio, potrebbero permettersi di sperimentare e fare quello che gli passa per la testa per “vedere l’effetto che fa”, come tre giorni di soli trapper o di musiche soca e kuduro o di artiste queer che suonano strumenti intagliati nella verdura. Invece, negli anni si è scelto di salvaguardare il concetto tradizionale di festival, cioè festival-rock-alternativo-con-le-band, riuscendo a creare un prototipo perfetto una piccola versione italiana del Primavera Sound (senza il #newnormal del 2019) pensata come area protetta tipo WWF per ascoltatori di una certa età e con un certo background, prima dell’inevitabile estinzione degli ultimi esemplari di vecchi con la maglia degli Spacemen 3, e della scomparsa di questo immaginario fatto di riviste musicali cartacee, chitarre, negozi di dischi e sfide a chi sa più nomi di turnisti presenti in un certo album. Come in una riproduzione live action in 3D di un numero di Rockerilla o di Blow Up, per tre giorni nel 2019 è stato ancora possibile sentirsi in un ambiente pre-social network/Spotify fuori dal tempo, in cui ancora fanno (ottimi) concerti gli Spiritualized, Jarvis Cocker a 55 anni salta da una parte all’altra e diverte senza suonare i Pulp, Johnny Marr è in forma e suona gli Smiths, e se dà buca un gruppo come i Beirut si è in grado di chiamare in sostituzione i Ride, che vanno dritto per dritto senza manco l’autotune o delle tracce in base.

Mentre nel music business mondiale si cerca di capire cosa succederà quando non si avranno più headliner “classici” per riempire le slot dei festival a causa dei sopraggiunti limiti di età, qui a Torino si succhia fino alla fine ciò che rimane di una scena già superata da anni riuscendo a mettere di fila i nomi sopracitati, che formano un ideale filotto brit pop/indie/shoegaze prelevato dal cartellone di Reading e Leeds del 1996, al quale vengono aggiunte band che possono ancora piacere a quel pubblico target, come i Balthazar o i Deerhunter. Anche per questo motivo eliminare la quota di artisti italiani non ha portato grandi rimpianti e critiche, dal momento che nei quattro anni precedenti non sono mai stati proposti come attrazione principale (e di boutique festival che fanno suonare Giorgio Poi e MYSS Keta ce ne sono 150 in giro per l’Italia). Anzi, la domenica pomeriggio gratuita al Parco Peccei con un ospite internazionale prestigioso come gli Sleaford Mods è stato qualcosa di commovente, e non solo per la gioia di vedere Jason Williamson che canta della working class davanti ai palazzoni di Barriera di Milano. Un grande live il loro, così come tutti quelli dei nomi presenti in cartellone, sì, anche di quell’outsider di Hozier, chiamato nel tentativo di attirare un pubblico più giovanile e diverso (non so quanto sia andato a buon fine a giudicare dalle teste dei presenti). La questione qui non è certo la qualità dei live, ma quante alternative abbiamo, quante ce ne meritiamo, cosa dobbiamo pensare di chi ancora si ostina ad organizzare festival anziché scegliere un lavoro più facile.

I tempi sono incerti sotto ogni punto di vista, quindi figuriamoci per un tema apparentemente frivolo come la musica dal vivo e gli appuntamenti culturali di una città. La cosa sicura è tra qualche anno assisteremo ad uno scenario totalmente diverso, a forza di programmi radio e giornali che chiudono senza che ci sia un ricambio generazionale nella divulgazione musicale. Uno scenario prossimo dove i festival avranno la trap e il grime come generi punta, i dj set si ascolteranno dentro Fortnite, la band con chitarra e batteria saranno considerati una cosa vintage buffa tipo teatrino delle marionette e così via (tutte cose che stanno già ampiamente succedendo). Nel frattempo il Todays, più di ogni altro festival in Italia, ci offre un romantico canto del cigno di un mondo che molto presto non esisterà più, e per questo fa ancora più tenerezza visto da vicino, un sentimento che rende superflua ogni possibile critica e giudizio severo.

(Stefano D. Ottavio)

foto di Stefano D. Ottavio e tratte dalla pagina Facebook del Todays