LEE FIELDS & THE EXPRESSIONS, “It Rains Love” (Big Crown Records, 2019)

“It Rains Love” è il secondo album pubblicato su Big Crown Records da Elmer “Lee” Fields, classe ’51 di Wilson (North Carolina), con l’ausilio degli Expressions, fedele backing band da dieci anni. Balzatomi alle orecchie grazie allo strepitoso duetto con Sharon Jones in “Stranded In Your Love”, Fields ha lavorato nella sua lunga carriera con numerosi artisti, dai Kool & The Gang a Bobby Womack passando per Dr. John, e prestato la voce in “Get On Up”, il biopic su James Brown del 2014. In adorazione tanto di quest’ultimo quanto di Marvin Gaye, Lee Fields & The Expressions infilano un grande disco bilanciato tra classic soul e funk psichedelico.

Per descriverlo si può iniziare dal confronto con un’altra uscita sui generis, “American Love Call” di Durand Jones & The Indications. Laddove quel disco suona arioso e corale, sia per la giovane età degli interpreti che per le tematiche sociali proposte – in versi quali “It’s Morning In America But I Can’t See The Dawn”, “It Rains Love” predilige le tonalità blues date dalla chitarra e i fiati, con ritmiche sincopate ad inseguirsi (“Blessed With The Best”) o a trasportare in ambienti reggae-dub (“God Is Real”, forte di una performance da urlo di Lee Fields). L’invettiva politica si fa comunque strada anche qui, in una “Wake Up” al limite dell’hip-hop, “ Aren’t you tired of all these lies?/ Time to wake up, open up your eyes/ Don’t be led in the wrong direction/ ‘Cause it’s time for mass correction“; è piuttosto un messaggio di amore come ancora di salvezza a contraddistinguere i singoli estratti: “You’re What’s Needed In My Life”, pensate ad un mash-up tra “My Girl” dei Temptations e “I’ve Been Loving You Too Long” di Otis Redding, e la title track in apertura di album, più introspettiva con un groove jazzato e tastiere degne di Stevie Winwood periodo Traffic.

La produzione di Leon Michels – che collabora anche alla scrittura di Fields, già in studio con Charles Bradley e Norah Jones – dosa abilmente i contributi strumentali senza rinunciare ad un wall of sound che esalta l’improvvisazione live di “A Promise Is A Promise” e “Will I Get Off Easy”, nella vena del miglior Paul Mc Cartney solista. Gli archi impreziosiscono la preghiera di “Don’t Give Up”, ma il gioiello dell’album che non sfigura di fronte a capolavori del passato è “Love Prisoner”, in cui tutte le virtù finora descritte si amalgamano in un mood sognante e ipnotico. Curtis Mayfield avrebbe senza dubbio lodato questo brano in cui ricorre il suo insegnamento: “They say all is fair in love and war/ In our lives, it goes on/ Now that you’ve conquered me/ Please handle me gently.”

La musica dell’anima è viva e grazie a dischi di questo calibro guadagnerà sempre più ascoltatori.

80/100

(Matteo Maioli)