FOXYGEN, “Seeing Other People” (Jagjaguwar, 2019)

I Foxygen sono una band ondivaga che rapisce, stupisce, si nasconde nelle sue stesse impalcature retrò e ha la capacità di rendere la perplessità un momento chiave dell’ascolto di un disco.

Anche in “Seeing Other People” c’è la continua percezione che il suono dei Foxygen faccia a cazzotti con il mondo e il mondano, e sembra quasi che sia la stessa identità della band a gettare il più lontano possibile le sirene di un sound contemporaneo.

Tutto ciò potrebbe tranquillamente denotare una scelta artistica determinata e affascinante, ma troppo spesso guardando il disco girare sul piatto, o i minuti scorrere su Spotify, ci si rende conto di come tutto quel vorticoso andare avanti sia semplicemente frutto di un lavoro, forse l’ennesimo, fuori fuoco dei Foxygen.

Tutta l’implicita demonizzazione del contemporaneo e la mitizzazione di un passato, di una serie di suoni non meglio precisati, che rendono il disco eccessivamente disordinato, ingarbugliato.

“The Thing Is” sembra una canzone da musical americano che, arrivando dopo “Livin’ a Lie”, mostra perfettamente i paradossi di una ricerca sonora che gioca con le icone, le iconicità e i miti del passato, perdendo nettamente la bussola, l’idea di fondo.

Non a caso la parola chiave con cui era stato presentato il disco era “Addio”: ‘è infatti presente in tutto il disco un timore assoluto di un crollo, un presagio di non farcela, e rende ogni scelta estetica del lavoro assolutamente stucchevole.

Una somma poetica era stata tirata dallo stesso France, che proprio riguardo alla “morte/addio” della band aveva descritto così la parabola del disco: “With every album the band dies; with every album the band is reborn”.

Pezzo veramente a fuoco, anche in stile e ricerca sonora è “The Conclusion,” che mostra come è possibile utilizzare il caos come reale forma creativa: i riff sincopati e strozzati sono infatti un bellissimo modo per creare un testo critico e cinico che è funzionale alla reale essenza del disco.

Allora è così, tocca aspettare una rinascita: magari tra dieci anni mi ritroverò a rivalutare la carriera dei Foxygen, anche alla luce di “Seing Other People” (com’è accaduto nel nostro speciale per gli anni ‘10 a “And Star Power is…”.

Se però le promesse sono che: “Never gonna be black or dance like James Brown”, non capisco l’ostinazione nell’inseguire in modo quasi ossessionato delle cifre stilistiche e la retromania. Il senso di “addio” è un profondo senso di distopia in cui noi, ascoltando il disco, ci sentiamo smarriti ma non spaventati e spiazzati.

Per ora il giudizio rimane sospeso, come un caffè al bar. Ora non ci resta che annaspare anche stamattina, nell’ennesima tazzina, alla ricerca di una risposta che forse, proprio perché tarda ad arrivare, rende i Foxygen una band non adatta alla liquidità contemporanea.

50/100