[Cannes chiama Kalporz] Diario 16 maggio 2019

Dopo la serata non-morta del deludente film d’apertura di Jim Jarmusch, Cannes si è ridestata sotto una coltre di pioggia battente, nuvoloni neri e temperatura se non glaciale sicuramente non adeguata al mese di maggio. Mal comune mezzo gaudio, se è vero che anche tutta l’Italia sembra essere avvolta tra le spire dell’inverno. A parte queste annotazioni, che dovrebbero accompagnarci ancora per parecchi giorni, oggi si sono aperte ufficialmente tutte le sezioni del festival, comprese le collaterali. Non ho avuto modo di vedere il primo titolo della Semaine de la Critique, il colombiano Litigante di Franco Lulli, ma in compenso mi sono recato all’apertura della Quinzaine des réalisateurs, affidata da quest’anno all’italiano Paolo Moretti. Le daim, ottavo film del folle Quentin Dupieux – anche produttore discografico e musicista con lo pseudonimo Mr. Oizo – è il racconto di un uomo che, dopo essersi lasciato con la moglie, spende tutti i soldi che ha per comprare una giacca di pelle di cervo e diviene ossessionato dall’idea che qualcun altro a parte lui possa indossare un giaccone. Con la scusa di essere un regista indipendente – creata dal nulla per il semplice motivo che è in possesso di una videocamera vecchia di una quindicina d’anni – uccide i possessori di giacconi in giro per la cittadina in cui si trova e li sotterra in una fossa comune. Dupieux non è certo nuovo a idee strampalate di questo tipo (Rubber, nel 2010, parlava di uno pneumatico killer con la forza della mente, tanto per dire) e Le daim è un divertissement a tratti davvero spassoso e senza dubbio molto gradevole. Un’ora e un quarto perfette per iniziare una giornata.

Giornata che è continuata con l’interessante Bull, opera prima della statunitense Annie Silverstein che ha dato il la a Un certain regard – anche se l’apertura ufficiale, in serata, è stata affidata a La Femme de mon frère di Monia Chokri – con un coming of age che mette in relazione una quattordicenne texana ribelle e abbandonata a se stessa (il padre non esiste, la madre è in prigione, e lei vive con la nonna e la sorellina) e il suo vicino di casa, un torero afrodiscendente che deve fare i conti con l’età che avanza, trascinandosi dietro gli acciacchi di una vita. Nulla di straordinario, ma un racconto onesto che ha l’unico difetto di cedere con troppa semplicità agli stilemi dell’indie a stelle e strisce.

In ogni caso interessante, così come Les Misérables, secondo titolo del concorso diretto da Ladj Ly e incentrato sulla vita tumultuosa nelle banlieu parigine. Il tema è caldo, viste anche le proteste dei gilets jaunes, e il film si colloca su quella scia barricadera cui appartiene anche L’odio di Mathieu Kassovitz, il titolo che forse più vi si avvicina. Un lavoro non privo di retorica ma che sarebbe sciocco sottostimare – come è stato fatto invece al termine della proiezione stampa, visto che sono partiti dei buuu di disapprovazione – e che cerca perlomeno di raccontare un conflitto, con tutto ciò che questo comporta. Forse a tratti semplicistico, ma non privo di coraggio.