Amnesia Scanner + Croatian Amor, Teatro Puccini, Firenze, 30 Aprile 2019

Il titolo di questo articolo è puro clickbait. Sì, vi parlerò anche dei live di Croatian Amor e Amnesia Scanner nel corso di questo articolo, ma sappiate che è l’ultimo dei motivi per cui scrivo questa manciata di paragrafi. Nel corso di questi, vorrei più che altro abbozzare (ci sarà sicuramente chi affronta questo tema meglio di me) la questione del provincialismo e tessere l’elogio di chi, in questa Italietta “tutta jazzettini e tristi cascami Dixieland“, ha il coraggio di osare e dedicare una parte della sua vita a combattere i mulini del sopracitato provincialismo.

Ora che la pallosissima premessa è andata, contestualizziamo un attimo: Firenze, a.d. 2019, Teatro Puccini, ultima serata della rassegna <code>, messa in piedi da una delle realtà fiorentine più credibili e al passo coi tempi, Disconnect. Sul palco del teatro, scelta tanto insolita quanto affascinante (ma che si era già rivelata vincente, nell’esperienza di chi scrive, per i live di Aisha Devi e DJ Stingray 2 anni fa), faranno la loro comparsa due esperienze totalmente aliene al panorama musicale fiorentino, ovvero Croatian Amor, fondatore dell’etichetta posh isolation, e Amnesia Scanner, usciti da un 2018 glorioso con la loro ultima pubblicazione “Another Life”.

Arrivo a Teatro molto presto, per le 20.30, per assistere al talk sulla ‘nuova elettronica in HD’ e presentazione del volume “Elettronica Hi-Tech” di Riccardo Papacci, che sto sfogliando distrattamente quando non sono impegnato a maledire abbastanza quella tecnologia che siamo andati a ‘celebrare’ per una sera. Il talk, che comprende anche la partecipazione del beneamato Stefano Di Trapani,  è decisamente interessante e per niente ingessato, creando un’atmosfera partecipata e dalla quale partono argomenti su cui riflettere durante i live che seguiranno.

Più di trenta anni fa Jean Baudrillard parlava del presente/futuro iperreale definendo dei “simulacri di simulazione”, chiedendosi quale potesse essere l’immaginario di riferimento di un ordine di simulacri che attinge dall’irreale per portare la realtà in un mondo dove “è scomparsa la realtà”, reinventando “il reale come finzione”. Possibile per l’Italia, un paese storicamente conservatore e troppo nostalgico per ‘accelerare’?

Firenze non è certo Milano, ma è pur sempre una delle città italiane (ed europee) più all’avanguardia del ‘900. Non si contano le esperienze cittadine, gli artisti stranieri che vi hanno risieduto, per vivere il presente e progettare il futuro. Firenze non è certo Milano, ha un debito estremo nei confronti della sua storia. Firenze non è certo Milano, tantomeno Berlino, ma Firenze per anni ha accelerato più di tanti altri. Firenze si è fermata.

Fermi, non sto dicendo che “a Firenze non c’è mai niente da fare”. Basta non essere pigri, e si trovano cose interessanti, spesso portate dai nostri eroi Disconnect o più recentemente anche dal collettivo PHASE, che ha curato la presentazione di “Elettronica Hi-Tech”. Ma può una città così satura di tradizione cedere il passo a una nuova serie di riferimenti, mutabili, interculturali, fuori dal tempo? La risposta ovviamente è nel futuro (eh, il futuro…) ma il presente è un po’ nero.

Nera è anche la situazione che attende la platea per l’inizio del set di Croatian Amor: il buio completo avvolge la sala, intervallato soltanto da lampi di strobo e due fari che più che guidare, spaesano. Anche qui, il ribaltamento della concezione ‘classica’ di un live (ma poi classica di cosa, mi pare che la tradizione europea vedesse gli ascoltatori seduti in un teatro) rende l’esperienza qualcosa su cui riflettere. L’annullamento totale della performance (non una luce sul palco, nè visual retrostanti), il ghiaccio secco che avvolge totalmente la platea, i sedili sui quali ci affossiamo mentre ascoltiamo il live tratto dall’ultimo “Isa”, non corrispondono all’idea di concerto che uno ha in mente, tanto che la mia adorabile compagna di seduta esclama “sembra di stare in chiesa“. Non so quanta intenzione sacrale ci fosse in tutto questo, ma l’impressione che ho voluto cogliere è che si volesse togliere l’aspetto pornografico della performance musicale di stampo rock, “perchè cioè è troppo bello lasciarsi prendere dalla musica”. Continuando a citare gli Uochi Toki, “vorrei che certi gesti perdessero di significato, vorrei tornare a casa dai concerti colpito da quello che ho sentito e non da quello che ho guardato“. Il peso della performance non è inutile, certo, ma un bel repulisti per concentrarsi sul suono è quantomeno necessario. E che suono!

Nessuno si stupirà nel sentirsi dire che il set di Croatian Amor sia un orgasmo per gli appassionati di sound design, seppure non ci si distacchi dall’ultimissimo suono al quale è approdato il musicista danese. Io che l’ho scoperto e amato con il primissimo disco “The World” un pochino speravo che ci fosse spazio per i suoni più caldi che hanno caratterizzato la primissima produzione del fondatore di posh. Ovviamente, non era il caso.

Tempo di prendere da bere e fumare mezza sigaretta, e il live che attendevo da mesi è cominciato. Gli Amnesia Scanner, sorta di duo dell’Apocalisse portati per una volta sotto il Po a infondere un po’ di oscurità berlinese, cominciano a bomba, e anche la situazione diventa un attimo più classica. Un manipolo di agitati, tra cui il sottoscritto, si apposta sotto il palco per godere dello spazio per muoversi o ballare (poco, in realtà) e farsi sparare qualche strobo in faccia a distanza ravvicinata. Il live non delude, tutto va come deve andare, ma: rimangono delle questioni aperte. La massacrante techno post-industriale degli AS quanto bene può rendere in un teatro? Non si poteva eliminare qualche settore di sedute?

Non so bene quanta gente ci fosse, causa oscurità (sicuramente meno di quante un evento del genere meriterebbe), ma l’assenza di panico da sudore e mancanza d’aria mi ha reso il tutto un po’ meno fascinoso. D’altra parte, la performance degli Amnesia Scanner rimane qualcosa di magistrale e rimarrà nella storia recente di Firenze, a memoria che esiste un mondo (e non da ieri) che si muove aldilà delle solite dinamiche dei vecchi, spesso stantii, live club e performance alla X-Factor. Un mondo che riesce a coniugare ricerca e party, perfettamente a suo agio in entrambi gli universi, e che nemmeno è il futuro ma un presente già consolidato da tanto.

Un plauso agli amici di Disconnect, che hanno osato e che hanno comunque vinto. Un avviso a tutti gli operatori, perchè un mercato della musica live in una media città funzioni, c’è bisogno di un po’ di tutto. La pasta al pomodoro è buona, ma dopo un po’ stanca.

(Matteo Mannocci)