K Á R Y Y N, “The Quanta Series” (Mute, 2019)

Una delle teorie della fisica quantistica afferma che sia possibile viaggiare nel tempo, attraversando una ipotetica quinta dimensione che trascende lo spazio-tempo.

In una vita passata, KÁRYYN è stata una potenziale sensation della scena punk di Los Angeles, ma ha talmente cancellato questa fase della sua vita, da trasformarla quasi in una esistenza parallela, che in questo universo non è mai esistita.
‘The Quanta Series’ è ufficialmente il disco di debutto dell’artista di origini armene e siriane, concepito e registrato in un lasso di tempo piuttosto ampio. I pezzi inediti sono pochi e quasi tutto il resto era già stato pubblicato a singhiozzi negli ultimi due anni.
In un dedalo di synth-pop boreale, ariosi pad ambient e addirittura una rivisitazione di una canzone folk armena (‘AMBETS GORAV’) quasi ogni traccia lascia intendere una rotta diversa che il disco avrebbe potuto prendere. I riferimenti che vengono in mente sono piuttosto vari, ma in qualche modo parrebbe esserci il classico filo rosso che li unisce tutti: Bjork, Grimes, FKA twigs, Jenny Hval.
La prima dell’elenco è anche una sua ammiratrice, avendo assistito a Reykjavik ad una messa in scena con le musiche curate proprio da KÁRYYN.

Durante tutta la durata del disco, KÁRYYN dimostra di avere un’estensione vocale con pochi limiti, ma non sembra volerne fare un tratto distintivo: spesso si limita a cantare con un filo di voce, altre volte annega la voce in riverberi profondissimi. Ne è un esempio ‘MIRROR ME’, dove il tappeto sonoro è interamente costituito proprio da tracce vocali che si avvilluppano.
Ci si trova davanti ad un lavoro che riesce a suonare antico, liturgico, remoto, ma contemporaneamente moderno, sperimentale, perfino accessibile ed intimo. ‘ALEPPO’ e ‘PURGATORY sono echi di estati passate in Siria, prima che la guerra dilaniassei il Paese. Il concetto di annientamento del tempo tipico della quinta dimensione, qua è fortissimo: pezzi estremamente “digitali” che veicolano ricordi sfocati, color seppia. Una sorta di versione avant-pop del Pensatoio di Albus Silente.

‘YAJNA’ è una parola che in induismo si riferisce a qualsiasi rituale effettuato davanti ad un fuoco sacro, ed il pezzo contiene una delle principali chiavi di lettura del disco: il mondo non funziona per colpa dei limiti e dei confini che noi stessi ci abbiamo disegnato. Può essere un discorso applicabile anche a questo album? L’amorfismo che sembra caratterizzarlo è forse quello che davvero dona compattezza e unisce tutte le tracce, piuttosto che disperderle?

‘The Quanta Series’ è un disco difficilmente catalogabile, a differenza ad esempio del debutto della già citata FKA twigs, che aveva una messa a fuoco più decisa e si incastrava in un ben preciso pop futuristico di matrice urban, sull’onda anche di quel disco -sottovalutato- di Kanye West che è ‘Yeezus’

Quello che è certo è che KÁRYYN aveva l’esigenza di dire qualcosa e questo album racconta il percorso di ricerca di una voce per farlo.

76/100

(Carmine D’Amico)